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mercoledì 18 febbraio 2015

L'Impronta

Ho viaggiato a lungo negli spazi di un pensiero e sulle strade di vari paesi, ma sempre confinato nel limite del non sapere. Mai abbastanza e mai fino in fondo. Vorrei dirlo ancora, come facevo un tempo, che non so che ne sarà di me. Io invece lo so, mi conosco, ed il fatto di non sapere la permanenza temporale del mio passaggio terrestre, non implica l'incoscienza di ciò che i miei passi si lasciano dietro. Le mie impronte sono nitide come fossero fissate sulla sabbia di una spiaggia dopo la pioggia. E come tali restano fatue. In fondo mi rinnego un po' ogni giorno, soffiando sulla mia essenza tonnellate di illusori granelli di sabbia convenzionali che confondono queste tracce. Ciò che enuncia il mio esistere è la mutazione perpetua che è in me. Una mutazione verso la luce. Che non è avere, nè sapere. Ma essere e sentire
Ciò che importa è l'impronta, il calco, la parola che esprime senza il packaging del voler definire. L'emozione che brucia sulla pelle e che ti sveglia, la notte. Quel sentire che non entrerà mai in nessuna foto ricordo. I ritratti sono nature morte. La mia rappresentazione è un panorama senza tempo dipinto dalla mano di un cieco. Un continuo sentire, vicino, vicinissimo: non c'è distanza quando la misura parte dal cuore.


giovedì 5 febbraio 2015

L'Archivio dell'inespresso.

Nel lungo percorso che porta al cuore del mio stranissimo museo esiste una stanza chiusa dove giace una quantità incredibile di cose. Sulla porta è un cartello con scritto "deposito" e due giri di chiave la separano dal mondo percepibile.
Non solo oggetti, ma immagini, parole, sensazioni, situazioni, sogni. Io stesso passando ho grande difficoltà a buttarci uno sguardo, perché temo che un'altra parte di me ci finisca dentro per non riemergere più.
Questa è la stanza che temo di più, perché quando la percepisco, capisco che troppa parte di me è rimasta chiusa lì dentro. Segregata. Inesplorata. Inespressa. Ci sono tutti i buoni propositi e le cose che avrei fatto "subito dopo", ci sono le promesse fatte a me stesso e mai mantenute.  Ci sono i sentimenti bruciati nel cuore per paura di non essere all'altezza. Ci sono le storie abbozzate senza un finale.
Lo stesso mio museo è un luogo che non aveva mai aperto le porte, perché troppa era la consapevolezza del suo essere incompiuto e la superficialità di chi si affacciava sull'uscio non percepiva il fatto che l'opera d'arte che ciascuno può produrre è per definizione incompleta, perché fa percepire tutto un "altrove" che meriterebbe altre opere con finestre aperte su altro ancora all'infinito. La bellezza è proprio nella creazione e non nella conclusione di qualcosa. La vita chiama la vita. Anche la stessa morte chiama l'Amore e non può esservi fine al flusso perpetuo delle cose di cui noi siamo parte.
"Lavori in corso" era il cartello appeso che faceva passare oltre.
In questa stanza restano cose che possono trovare posto a pieno titolo in altre sale del mio museo e dunque è giunto il tempo di abbattere una parete e ristrutturare l'insieme.
Le parole non dette per paura di una qualsiasi conseguenza svaniscono alla luce che guiderà il visitatore. I sogni sono rifugi dove nascondiamo la paura di agire. La paura è svanita, qui dentro. Esiste solo la luce. La parola diventa concetto, il progetto diventa l'oggetto. Altre stanze sono da aprire, perché l'altra parte del museo è ancora tutta da allestire.

"Lavori in corso" davvero, questa volta. Ma non lavoro più da solo. E la vita, da questa prospettiva, ha un orizzonte davvero diverso.