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mercoledì 29 giugno 2016

Sulle mie Rive

Se solo affacciandomi da questo balcone ventoso potessi ricevere gli schiaffi che le onde del mare riservano agli scogli, potrei forse svegliarmi da questo torpore interiore che mi lascia inerme e interdetto e sarei quasi a un buon punto del mio progetto di vita. Sono stato felice in piena luce lunare, lo confesso, ma ora torno alla strada, al livore dell'alba, alla parola scritta, al silenzio che porta altrove.
Ho bisogno di risalire sul guscio e navigare via, lontano da tutto e non sentire più le parole scivolare nel vuoto, non perdere più l'anima tra le luci artificiose di questo carnevale fuori stagione. Non cerco l'oscurità per nascondermi, ma per ritrovare la luce lunare che ora è solo un riflesso interiore. La sola che mi può ricondurre dove sento di dovermi rendere. Sulle mie rive.







lunedì 27 giugno 2016

Tre anni fa

Non posso non pensare al fatto che oggi, tre anni fa, mi apprestavo ad entrare al Ministero di Giustizia per compiere l'atto di insediamento nel Consiglio Nazionale dei Periti Industriali, un organo di governo voluto dallo Stato per garantire alla collettività la qualità professionale, quindi l'insieme di etica e preparazione, di persone preposte a svolgere attività riservate a soggetti abilitati in quanto di interesse collettivo.
Quello che hanno visto i miei occhi e udito le mie orecchie in questi tre anni non sono sintetizzabili in poche righe. Posso solo dire che dal primo giorno ad oggi non ho smesso di credere che il nostro mondo sia profondamente da cambiare, nelle regole certamente, ma prima ancora nelle persone. 
I cambiamenti culturali, però, prevedono passaggi generazionali e, quindi, dubito che potrò io stesso vederli attuati. Quello che posso fare, che ho tentato di fare e che continuerò a fare è quello di gettare un seme in un terreno aspro e difficile. Un terreno in cui cresce ovunque l'erba selvaggia dell'interesse personale, da sradicare ogni volta per tentare di far crescere la pianticella del bene comune. Chi crede che le cose possano essere semplici e lineari non ha conoscenza del contesto e chi, pur sapendolo, usa questo concetto come arma, lo fa per altri scopi e non mi interessa, non avrà la mia ragione.
Io sono sereno e so di aver sin qui tentato tutto ciò che potevo e dovevo al fine di gettare quel seme di cambiamento, che si può seminare solo restando saldamente dentro al sistema. Un sistema di cui io sono solo una piccola parte e dunque su cui posso agire solo parzialmente. 
Tutto si può sempre e comunque fare meglio e questo pensiero accompagna ogni mattina il mio lavoro. Per cui alla serenità che mi appartiene accoppio senza vergogna una lista di cose che avrei voluto fare meglio o diversamente.
Questi tre anni mi hanno insegnato molto, prima di tutto a dubitare di tutto e a verificare tutto. Mi hanno rivelato la vera amicizia e la doppiezza, mi hanno mostrato quanto il nostro paese e il nostro piccolo mondo necessiti di cambiare per restare vivo.
Sul piano personale, poi, sono stati anni strani e difficili, trascorsi sulle montagne russe, tra momenti di gioia assoluta e incubi incipienti. Anni anche costellati di lutti non facili da gestire, lutti autentici e lutti morali. La perdita di mia madre due anni fa e pochi mesi or sono dell'amico, lo definirei mentore, Maurizio Paissan, di cui ho percepito il lungo calvario, sono stati passaggi che mi hanno segnato dentro.
Sono passati tre anni in cui ho visto crescere i miei figli troppo spesso lontano da me, tre anni in cui mi si è accesa e spenta la Luce.
Ora mi aspettano due anni cruciali che passeranno in un battito di ciglia. Non mollerò di un centimetro quel terreno che sto cercando di coltivare per il bene comune. Si semina per chi viene dopo. E continuerò a fare questa attività con la passione e la consapevolezza che solo amando si rischia di essere feriti.

«Se dovessimo considerare l’amore tenendo conto dei nostri impegni, chi ci si arrischierebbe? Chi ha tempo di essere innamorato? Eppure, si è mai visto un innamorato non avere tempo per amare? Non ho mai avuto tempo di leggere, eppure nulla, mai, ha potuto impedirmi di finire un romanzo che mi piaceva».

Daniel Pennac, “Come un romanzo”




Un Taxi

Apro gli occhi al buio e non appena mi rendo conto di essere sveglio, cerco l'orologio nell'oscurità e lo trovo senza grandi patemi. Sento però al cuore uno strano affanno, come quando mi sveglio nel mezzo di un incubo, ma questa volta non ho in memoria nulla di così spaventoso. Solo una sorta di enigma che vorrei chiarire subito con Doc, ma è maledettamente presto, così mi alzo al buio e brancolando raggiungo il soggiorno, dove trovo la mia borsa. Estraggo il taccuino e comincio a scrivere il contenuto di ciò che ho sognato. Non voglio dimenticarlo per nulla al mondo.
Scrivendo mi rendo conto di ricordare pochissimo e annoto solo poche cose.
Le ore che seguono sono interminabili.
Finalmente arrivano le otto, l'ora in cui Doc non rifiuta le chiamate degli amici.
"Ciao Doc, buongiorno"
"Ciao Saverio, che ti succede, come mai chiami a quest'ora?"
"Volevo dirti una cosa che ho sognato e che potrebbe essere importante"
"Cos'hai sognato Saverio? Cosa c'era di così urgente da dovermi chiamare a quest'ora?"
"Solo un frammento di sogno, in verità..."
Lo sento sospirare dall'altra parte del filo, nel rumore dei fogli di carta che maneggia. Quindi indossa il tono più professionale che può e mi invita: "Raccontami..."
"Io e Bianca eravamo su un treno, seduti affiancati... Eravamo felici, stavamo scendendo a Roma e ricordo precisamente i suoi occhi aperti sui miei... Come quando eravamo felici..."
"Si, eravate felici come quando eravate felici... E poi?"
"E poi, non so per quale motivo siamo scesi dal treno vicino a un aeroporto. Era una zona di costruzioni bellissime... Roba moderna, cinema, ristoranti, centri commerciali, luci dappertutto... Qualcuno ci aveva detto che dovevamo fare scalo, ma non si fa scalo coi treni... Al massimo con gli aerei... Dovevamo riprendere lo stesso treno, ma quando si è trattato di prenderlo, non c'era più e allora noi abbiamo cominciato a informarci su come potevamo fare per arrivare a Roma. I tabelloni luminosi non ci aiutavano, ma noi continuavamo a cercare, indaffarati ma sempre beati di essere lì insieme...Poi..."
"Poi?"
"Poi abbiamo visto l'avvocato. Era seduto su una panchina ad aspettare un treno"
"Che avvocato?"
"L'avvocato che lavora con noi giù a Roma, l'avvocato della casa editrice"
"Ok, ho capito, l'avvocato del tuo posto di lavoro"
"Si... Gli ho chiesto come potevamo fare per raggiungere Roma, Lui ha guardato me, poi ha guardato Bianca e ha sorriso. Solo in quel momento mi sono reso conto che lui non avrebbe dovuto sapere nulla di me e Bianca, ma ci guardava come se sapesse tutto, come se fossimo libri aperti..."
"Quindi?"
"Quindi, sempre sorridendo, come se fosse felice della nostra felicità ci ha detto -a che vi serve un treno? Potete arrivare a Roma anche in taxi- e a quel punto mi sono svegliato"
"Solo?"
"Solo... Margot è al mare con Chiara..."
"E cosa hai pensato?"
"Ho pensato che dovevo chiamarti al più presto... Che cosa significa questo sogno?"
Sento l'amico Mirco, che mi ostino a chiamare Doc come se fosse un medico curante del far west, quando invece è solo uno strizzacervelli di provincia, sogghignare a distanza.
"Significa che probabilmente faresti meglio a cercare un taxi..."


(Estratto da "Il testamento del sole" - 2016)



giovedì 23 giugno 2016

Alphabet Angel

In un mondo che sembra un giardino d'infanzia abitato da canuti senza tempo, in cui il pensiero ideale deve essere imprigionato in pochi concetti semplici, in cui tuttavia trionfano le contraddizioni, l'ipocrisia e la banalità, mi ritrovo allo specchio a sanguinare la mia incompiutezza. Perché spiegare, quando la speranza è stata portata via dal fiume del caos quotidiano? Perché cercare la luce quando tutto è coperto dalla cortina fumogena che pretende di farci accettare qualsiasi cosa e richiede di simulare sorrisi?
Non ne ho più voglia. Allora affondo il mio sguardo nel vuoto e lo sento arrivare. Lo sento crescere in me. Il custode della mia anima, riappare e si mette a giocare con questa irrequietudine, questo dolore latente, questo strisciante male di vivere che cerca una porta da cui uscire, una finestra da cui affacciarsi per respirare questo giorno che nasce solo per blandire gli uomini.
Non ha occhi ma vede, non ha labbra ma parla ed è qui con me, questa luce che mi fa vedere le cose, mi suggerisce le parole e mi guida nel buio. Questo è il tempo di una nuova materia. Di nuova sostanza. Di nuove parole che cadranno nel vuoto, ma che lasceranno nuove cicatrici, dopo aver acceso nuove illusioni. Tanto, è solo un gioco.




lunedì 20 giugno 2016

Il Fiore di Ibisco

Il mio strano museo ha chiuso le sue porte al mondo con il dolore sordo con cui si volta l'ultima pagina di un libro stupendo che dobbiamo restituire alla biblioteca del caos. 
Ora vago per i giardini senza tempo che circondano quell'edificio. Ciò che sono stato rimane chiuso per sempre là dentro, in quegli armadi, su quelle pagine, tra quei libri. Ciò che sono è scritto solo nei miei occhi. E non è la pioggia a riflettersi in me. E la mia intera vita.
Fuori da me stesso e dalla mia anima mi perdo ad osservare le foglie ed i fiori. 
Rinuncerò a chiunque, di questa umanità assente, non abbia poesia e follia nella propria anima. Non vale la pena, altrimenti.
Che scopo ha un fiore se non quello di generare bellezza? 
Dove rimane l'incanto e la voglia di vivere, se non nei giardini segreti che soffocano la cementificazione dell'anima? 
Sarò così la pioggia che cade incessante ad ogni stagione. Sarò la nuvola che arriva e il sole che brucia. Sarò le foglie degli alberi, che possono velare o proteggere. Sarò un ibisco reciso che non cesserà di portare colore nel grigiore dominante della razionalità speculativa di un'umanità senza più parole.  


Jean Cocteau - Le Testament d'Orphéè

martedì 14 giugno 2016

I sentieri della notte

Apro gli occhi al buio e osservo un vuoto che conosco troppo bene. Realizzo che sono sveglio e che le paure non appartengono più ad un brutto sogno interrotto, ma alla mia realtà. Sono io e sono qui. Nuovamente solo con le mie chimere ed i miei demoni che ironizzano sul mio stato pietoso e la mia dolorosa inquietudine. Non esiste redenzione né salvezza. Solo illusione e sprazzo nella notte più assoluta che attraversiamo ciechi e ordinati, per imporci l'inconsapevolezza del fatto che non ci sarà un'alba. Da dove possono partire i miei passi lungo i sentieri di questa nuova indesiderabile notte?
Sento di dovermi alzare, di uscire all'aperto e prendere in mano i cocci di un vaso di fiori che avevo posto al piano più alto per dare luce e colore a questa periferia emotiva di cui turbava la regolarità delle linee di facciata. Così il vaso, dopo un colpo di vento avverso, che anziché scompigliare come dovrebbe, riordina, è precipitato nel vuoto e, dopo un impatto deflagrante, ha lasciato parti di sé sparse un po' ovunque. Il fiore è salvo e farà crescere le sue radici altrove. Il mio vaso è perduto. Il vento, intanto, prosegue il suo viaggio. Tutto è in ordine e risplende nella luce illusoria di una nuova giornata di sole. 









martedì 7 giugno 2016

Invisibile

Sfioro con la mano lo specchio per avere certezza della sua presenza. Ciò che avverto è la sua consistenza fredda, solida e al tempo stesso fragile.
Lo osservo e il mio sguardo coglie sulla sua superficie ogni cosa che mi sta a fianco e anche ciò che percepisco essere dietro di me.
Appoggio una mano ancora e lo stupore è totale. Il mondo si riflette tutto in quello spazio, ma io non ci sono. Sono sveglio eppure il mio esistere è tutto racchiuso in me, in ciò che colgo e che vedo di qua dallo specchio. Nello specchio non appaio, risulto invisibile. 
E allora lo stupore lascia il posto alla rabbia che trova sfogo nel pugno che sferro dritto al vetro dove dovrebbero riflettersi i miei occhi. Il rumore è secco e una ragnatela di crepe si espande concentrica dal punto d'impatto sino alla cornice esterna.
Sulle nocche della mia mano fioriscono le rose di maggio e nel mio sguardo stupito resta il tiepido sole del mese precedente. Nei frammenti spezzati vedo finalmente la mia immagine, divisa in cento piccole parti. Non più uno. Resto invisibile nella mia completezza. La mia totalità è nelle nuvole in cielo.






venerdì 3 giugno 2016

Uno squarcio sull'orrore

Apro gli occhi ogni giorno sull'orrore quotidiano del quale arrivano notizie. Leggo di ragazze violentate, bruciate, strangolate e uccise nei modi più efferati. Respiro profondamente per andare oltre lo sgomento umano che attanaglia la gola e suscita una dolorosa rabbia impotente, perché non esiste pena che possa restituire la vita o l'anima spezzata alle vittime. Bisogna dunque agire sul prima che tutto accada. Quindi, razionalmente rifletto sul senso dei rapporti umani e sull'amore.
Penso che vi siano due grandi crepe culturali nella nostra società che finiscono per contribuire a lasciar passare l'orrore quotidiano. 
La prima nasce dall'incapacità di accettare e gestire una sconfitta. Questo problema, è evidente, va ben oltre i confini dei soli rapporti interpersonali e di quello che qualcuno chiama ancora amore. Declinandolo però al solo tema del rapporto uomo-donna, la mia angoscia cresce ancora di più, se possibile.  
Perché un uomo non riesce ad accettare di far parte del passato di una donna con la quale ha avuto una relazione? La risposta a mio parere è semplice quanto cruda: perché quest'uomo non ha mai veramente amato quella donna. Amava la proiezione dell'immagine di lei nella sua vita. Amava quella parte di se stesso che lei poneva in luce. Eppure non c'è nulla di innaturale nello smarrirsi o nel progressivo spegnersi di quella assonanza che unisce le persone in una relazione. Non deve essere un incubo il voler voltare pagina, chiudere e andare oltre. Ma tante persone leggono questa come una sconfitta. 
La sconfitta è uno dei peggiori tabù della nostra società vincente, esibizionista e superficiale che tende a spazzare sotto il tappeto gli sconfitti, gli anelli deboli di una catena che non ha rispetto di chi cade e non dà loro strumenti per rialzarsi. 
In amore quello che viene percepito come una sconfitta sembra un'onta incancellabile, quando invece è solo il divaricarsi di strade che hanno camminato affiancate per un tempo che non conosce mai la sua giusta misura. La realtà è che la vita di tutti è costellata di sconfitte che dovremmo semplicemente accettare e capire. Specie quelle che non dipendono da noi, dai nostri atteggiamenti, dalle nostre risoluzioni, ma dalle scelte di altre persone.
Parlare, condividere i disagi, non vergognarsene, aiuta enormemente a ritrovare il cammino verso il proprio domani sereno.
La seconda grande voragine culturale riguarda una certa devianza maschilista che vede la donna sempre più oggetto e, in quanto tale, ne stabilisce dunque la proprietà. La "mia donna" viene spesso usato come espressione simbolo di conquista e stabilisce un'appartenenza. Tutto ciò è alimentato nelle menti povere da una ossessiva iconografia dei media che fanno della donna prevalentemente un simbolo di desiderio sessuale e di trofeo di conquista da esibire socialmente.
Se le relazioni si basassero sull'attenzione alla felicità dell'altro prima che sulla propria, potremmo anche cominciare a parlare di Amore. Altrimenti stiamo parlando d'altro. E in questo altro le pulsioni umane aprono talvolta voragini incolmabili in cui l'orrore si insinua e cancella tutto il resto.