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lunedì 22 giugno 2015

Giorno 8 - Musica provenzale

Lasciare la Catalogna non è stato facile. La cordialità della gente, la bellezza dei luoghi, la dolcezza del clima incredibilmente soleggiato e ventilato che ti cuoce e ti rinfresca continuamente, la bontà del cibo a prezzi inimmaginabili solo a 150km più in là, oltre il confine francese, ha impregnato davvero questa partenza di tanta nostalgia e voglia di ritornare.
Non so se riuscirò o quando potrò farlo, ma la voglia di ritornare è certamente tanta, magari conoscendo meglio la lingua, per sentirmi ulteriormente a mio agio.
Il ritorno in Francia dopo sei giorni avrebbe dovuto essere una sorta di ritorno a casa, per me, in un luogo dove la lingua mi è più familiare e dove so meglio come muovermi.
Invece l'impatto è stato diverso e mi sono apparsi subito evidenti i difetti francesi rapportati ai modi caldi spagnoli. La distanza con cui si rapporta il tuo interlocutore è enorme rispetto a quella spagnola e i luoghi peggiori, da questo punto di vista sono le località turistiche. Probabilmente meglio un alberghetto nella campagna della Vaucluse che il mega hotel griffato incastrato sotto al Palazzo dei Papi. Location stupenda: arrivo in auto al garage interrato sotto al Ponte d'Avignone con posto riservato e accesso diretto all'hotel, il quale ha una doppia uscita: la prima sulla porta del Rodano (il centro Avignone è ancora circondato da un cinta muraria) che dà accesso al ponte St Benezet, la seconda sulla scalinata che porta alla parte alta della Piazza del Palazzo dei Papi. Sono però bastate poche parole con la concierge per capire la distanza che separa due popoli. E la ragazza francese è stata gentile, professionale ed inappuntabile nel suo ruolo. Mancava solo quello che chiamiamo l'umanità, ovvero l'idea che avere a che fare con una persona fatta come te di sangue ed emozioni sia meglio che un pannello touch screen a cui chiedere risposte. 
Superato l'aspetto umano, ripetutosi anche al ristorante, Avignone resta una città stupenda popolata di gente stupenda che ama vivere e anche divertirsi. 
Anni fa ero capitato durante il festival del teatro, questa volta c'era la festa della musica. Qui le cose nascono spontanee. Ogni piazzetta, ogni angolo di strada che consentisse farlo ospitava gruppetti di musicisti di ogni genere, dalla piccola banda popolare al gruppo reggae, al rockettaro di turno, alle improbabili coppiette da Varietè Francaise. Non mancavano dj più o meno improvvisati, angoli di discoteca ricavati dai marciapiedi davanti ai negozi più improbabili in quanto a relazione con la musica.
C'era totale spontaneità e questo rendeva le strade e le piazzette alberate, stracolme di gente, dei luoghi bellissimi in cui perdersi, lasciarsi andare o anche solo passeggiare senza meta. Così ho fatto sino a non sapere più dove mi trovassi, ma questo smarrimento è stato assolutamente piacevole e quando mi è stato chiesto quale strada dovessimo fare per ritornare in albergo ho risposto che non lo sapevo, ma sarebbe stato sufficiente ripercorrere all'indietro lo stesso percorso, trovando riferimento nei gruppi di musicisti che avevamo incontrato. In questa atmosfera quasi fiabesca mi sono riconciliato con la Francia che conosco e che amo, lontana dal suo americanismo omologante patologico che la sta portando a mantenere il belletto senza avere più un volto.

Profumo del giorno: l'aroma di lavanda che si respira ovunque per le strade di Avignone
Colore del giorno: il giallo del sole al tramonto sui muri del Palazzo dei Papi 
Sapore del giorno: tutto in salsa bearnaise
Suono del giorno: tutti i suoni del mondo, ogni genere musicale accompagnato da un frinire assordante di cicale.
Tocco del giorno: le pareti porose dei muri avignonesi.








domenica 21 giugno 2015

Giorno 7 - Arte e (è) fatica.

L'ultimo giorno a Barcelona è stato dedicato all'arte e alla fatica.
L'arte attraverso la visita alla Fondazione Mirò, al Parc Guell e alla chiesa di Santa Maria del Mar. La fatica per aver scalato sotto un sole feroce il Montjuic, la collina del Parc Guell ed il caos del sabato ai magazzini del Corte Inglés.
Raggiungere la Fondazione Mirò a piedi dall'uscita della metro Paral-lel è stata un'impresa fisica. Ridotto come un essere umano normale non dovrebbe essere e pure infastidito da questo fatto, ho atteso di riassumere un aspetto dignitoso prima di armarmi di audioguida e di immergermi nei colori e nelle simbologie del grande artista catalano. Aria condizionata a livelli americani (molti frigoriferi sono tarati su temperature più elevate) e un bel cortometraggio sul percorso artistico di Mirò mi hanno rilassato e ricondotto su un piano di assoluto piacere mentale per ciò che stavo vedendo. La semplicità che non significa semplificazione, perchè la complessità che non c'è nel tratto è controbilanciata da un simbolismo che rende ricchissima di spunti ogni opera di Joan Mirò. Questo detto da uno come me che non ha studi di storia dell'arte alle spalle, nè una smodata passione per l'arte moderna. Ma Mirò mi ha sempre colpito. Non a caso, un particolare di un suo disegno della serie delle "Costellazioni" è stato il primo poster artistico che a quindici anni appesi nella mia camera da letto, nella mia stanza delle nuvole.
Risalito il Montjuic sino allo stadio olimpico (che ha una struttura di edificio neoclassico sorprendente ma tutt'altro che affascinante), ho scoperto che avremmo potuto raggiungere la cima del monte attraverso un sistema di scale mobili comodissimo che parte da Plaza de Espanya e raggiunge il Museo d'arte di Catalunya, un edificio a sua volta neoclassico in stile spagnolo, con un sistema di cascate d'acqua spettacolari che raggiungono Plaza de Espanya.
Il pomeriggio al Parc Guell è partito cercando di individuare la fermata della metro più comoda per raggiungere il parco con l'edificio disegnato da Gaudì. Fatica sprecata. Il parco è raggiungibile comodamente solo in taxi. Le uscite della metro sono entrambe comunque premonitrici di faticate assolute. Abbiamo dovuto affrontare uno strappo di salita del 25% prima di raggiungere un altro sistema di scale mobili che ci portava ad un ingresso del parco. Ovviamente sotto un sole sempre più feroce.
Deludente solo il fatto che sia stato messo a pagamento l'accesso all'edificio di Gaudì, considerando che la parte più interessante (la terrazza) è uno spazio completamente all'aperto ben visibile anche senza l'acquisto del biglietto.
Al di là delle opere di Gaudì, il parco presenta una vista su Barcelona davvero stupenda, che porta gli occhi dalla Sagrada Familia sino al mare.
Scesi a valle nuovamente abbiamo ripreso la metro verso Jaume I. Santa Maria del Mar non abbiamo potuta visitarla approfonditamente perchè in essa si stava celebrando un matrimonio, ma la bellezza delle navate mi è rimasta impressa.
Espletate le fatiche commerciali al Corte Inglés, tempio pagano di mia figlia che ha guardato ogni vestito esposto, l'ultima nota spagnola è sulla cucina.
Si paga pochissimo per mangiare, meno che in Italia, molto meno che in Francia. Il menu di tapas di questa sera prevedeva affettati e formaggi misti spagnoli, crocchette ai funghi, gazpacho, cozze marinate, gamberoni saltati e una tagliata di manzo piccante, pan y tomate, dolce, bevande e caffè a 19 euro effettivi, non solamente dichiarati sulla carta. E si parla di roba fresca e di buonissima qualità, non di pacchi per turisti. 

Salutiamo dunque la Spagna con la precisa sensazione di aver aperto una porta verso un mondo che merita altre visite, altri approfondimenti, altre emozioni.

Profumo del giorno: gli alberi e la polvere al Parc Guell
Colore del giorno: Il rosso del sole di Mirò.
Sapore del giorno: il gazpacho rinfrescante di fine giornata
Suono del giorno: i musicisti di strada. Hotel Calificornia del chitarrista slovacco e Take Five della sassofonista della metro.
Tocco del giorno: I capelli bollenti di mia figlia sotto il sole del Parc Guell


Le cascate sotto al Museo Nazionale d'arte Catalana


Le colonne che portano a Plaza d'Espanya.


Barcelona vista dal Parc Guell


Gamberi alla bilbaina


Ancora casa Batllò a fine serata



sabato 20 giugno 2015

Non sono due anni?

Viaggiare è aprire una fabbrica di ricordi che, quando la si condivide con altri, ci responsabilizza maggiormente, in quanto ogni nostro gesto, parola o cambio d'umore interagisce con quella altrui e ne cambia gli esiti. Per questo oggi ho cercato di tenermi dentro quello che avevo. Era sabato ed era un sabato che nella mia memoria corrispondeva al primo anno senza mia madre. La mancanza delle persone ti si manifesta sempre in maniera subdola mentre fai altro e teoricamente dovresti pensare ad altro. Ma io non posso dire che questo mi accada, perchè il pensiero di ciò che è stato non mi abbandona un attimo, così come l'ineludibile vuoto che resta. Un vuoto che ciascuno di noi cerca di riempire come può, con pensieri, gesti, parole, atti concreti quotidiani che perpetuano il modo di essere di chi non c'è più nella vita di chi rimane. Mi ha fatto sorridere mio figlio quando mi ha detto: "Ma non sono due anni?". No è solo un anno. Questo per dire quanto grande gli deve essere parso qusto periodo di tempo. A me sembra passata una vita intera.
Questo vuoto io l'ho riempito di cose, di parole e persone che mi fanno andare avanti nella vita con la felicità che mia madre manifestava attraverso le cose che faceva. Chi se ne va lasciando un'eredità fatta di emozioni prima che di cose materiali, credo che abbia raggiunto il massimo possibile tra gli obiettivi. E questo resta.


Giorno 6 - Mes que un club...

C'è tanto marketing dietro al successo planetario del Barcelona FC, ma è un marketing che non perde di vista i valori fondanti di un modello sociale. Un azionariato popolare vastissimo di circa 170 mila soci porta tanti a sentirsi parte attiva nelle cose societarie, a partire dall'elezione del presidente. Risulta dunque naturale spendere aggiuntivamente sempre qualcosa per quell'entità di cui sei parte e questo comportamento crea spirito di emulazione anche in chi entra in contatto con questo mondo. Non è secondario poi il fatto che il Barcelona sia una polisportiva che comprenda Hokey, Basket e Pallamano. Aggregazione. Influenzamento reciproco. Crescita.
Che dire, dopo la visita odierna al tempio laico del pallone, il Camp Nou, mitico per gli amanti del calcio in generale ed in particolare anche per gli italiani che qui vinsero nel 1982 una semifinale mondiale con la Polonia. Vedendo il manto erboso quotidianamente curato, più che a Messi e Neymar Jr la mia mente è andata a Bruno Conti che affonda sulla fascia sinistra, pennella il cross del 2-0 per Paolo Rossi (che qui in spagna divenne definitivamente Pablito) che si inchina davanti a tanta bellezza geometrica e di testa appoggia in porta. "Era un pallone che diceva 'basta spingere'" ricorda sempre Paolo Rossi. Era l'8 luglio 1982 e nella mente di un ragazzo di quasi 17 anni che allora seguiva molto il calcio, quella era l'apoteosi. Raggiungere la finale mondiale. E poi vincerla, quando si era partiti con la grande probabilità di fare una figuraccia e dovercene tornare a casa subito. Certe cose non si dimenticano. 
Io non sono e non sarò mai un tifoso, ma del calcio mi affascina la coralità del gioco, dove uno da solo non può (quasi mai) nulla e la capacità di azzeramento delle distanze sociali in nome di qualcosa che viene venduta per identità.  Risulta bello crederci, di tanto in tanto. Risulta bello pensare che, in nome di qualcosa, si possa fare, tutti insieme, il bene collettivo.
Su questo principio il Barcelona fonda il suo motto "Mes qui un club". E su questo basa il suo successo planetario a livello di immagine e di partecipazione.
Comunque la si veda e la si pensi sul calcio, venire a Barcelona e non passare al Camp Nou, visitarne il museo e respirarne l'aria, significa essersi persi un pezzo importante dell'identità di questa stupenda città.

Dopo questa overdose pallonara, il pomeriggio doveva essere di decompressione e così è stato con una lunga passeggiata di oltre tre ore dall'Eixample sino all'Arco di trionfo (sinceramente brutto), al Parc de la Ciutatela, al Passeig de Colom e dal monumento al navigatore nostrano su per la Rambla.
Io sono tra coloro che non amano più di tanto la Rambla. La trovo un posto caotico e troppo esclusivamente turistico. Si salva il mercato della Boqueria e la zona immediatamente circostante che rimane ancora impregnata di qualcosa di autentico. Basta fare pochi passi e si è però nella Ciutat Vella e nel Barrio Gotico. Lì puoi trovare ancora negozietti originali e piccoli angoli che restano autentici gioielli. 

Domani ultimo giorno a Barcelona, ma non del viaggio. Ancora Gaudì e... non so. Mi piace improvvisare.

Profumo del giorno: l'odore delle siepi al Parc del a Ciutatela
Colore del giorno: Blau-grana, ovviamente. Al camp Nou e sulla facciata notturna di Casa Batllò.
Sapore del giorno: La limonata fresca di Plaza del Palazzo Reale
Suono del giorno: un fiume di suoni, dalle note dell'inno del Barca al segnale della metro che ci riporta al Passeig de Gracia, dal fragore dell'acqua delle cascate al Parc de la Ciutatela allo slang misto di almeno 4 lingue che sento parlare continuamente. 
Tocco del giorno: l'erba del Camp Nou


L'ingresso 9 al Camp Nou.



Panoramica del Camp Nou


Più che un club...


L'ultimo acquisto in casa blau-grana...


La coppa vinta un paio di settimane fa contro gli amici juventini.


Il Parc della Ciutatela: le cascate


Facciata notturna di Casa Batllò











venerdì 19 giugno 2015

Giorno 5 - Un pazzo visionario: Gaudì a Barcelona

Trentuno anni. Alla "veneranda" età di trentuno anni il più che promettente architetto Andoni Gaudì riceve l'incarico per il cantiere del tempio dedicato alla Sagrada Familia. Casa Batllò e Casa Milà sono molto di là da venire. Eppure lui prende questo incarico, completa la cripta in un anno, disfa tutto il progetto di cattedrale neogotica classica elaborato dall'architetto che lo aveva preceduto e fa un progetto tutto suo, modernista, visionario, pazzesco, perchè prevede già da subito la totale impossibilità del suo completamento prima della fine della sua vita. Il suo nome rimarrà per sempre, mentre molto meno si ricorderanno le menti altrettanto aperte ed illuminate che ebbero il coraggio e la sfrontatezza di sposare quel progetto folle fatto da un giovane. Vero che Gaudì non era un professionista qualunque a soli trentuno anni, e lo testimoniano le parole del professore che lo laurea il giorno del conseguimento del suo titolo accademico; "Non so se oggi abbiamo laureato un genio o un pazzo".
Pazzia. La capacità di guardare ciò che gli altri non vedono viene scambiata per pazzia, ma non è altro che l'attitudine di un genio. Un genio che segue la scuola del liberty ma va oltre, osserva la natura e ne riproduce i modelli nelle sue costruzioni. Le colonne diventano tronchi d'albero, gli archi di sostegno alle volte si trasformano in rami di quel tronco. Le volte elissoidali diventano camini per la luce e alleggeriscono le strutture. Tutto è simbolico e tutto ha un fondamento tecnico profondo.
Mi chiedo quali opere architettoniche di tale livello siano nate in Italia da fine ottocento ad oggi... e quante di queste furono pensate e dirette in cantiere da un ragazzo di trent'anni che vivrà la sua professione come una vera e propria espressione artistica. Se fosse nato in Italia ai giorni nostri Gaudì non avrebbe potuto riceve alcun incarico pubblico. Non avrebbe avuto i requisiti di esperienza. Ma come si può innovare affidandosi solo all'esperienza? 
I lavori per il completamento della Sagrada Familia sono previsti per il 2026, a cento anni dalla sua morte. L'ora passa, il dolore si cancella, l'opera resta.
Giornata interamente dedicata al genio di Gaudì, talmente avanti sui tempi in cui visse da preoccuparsi di temi che sono di moda oggi, come la sostenibilità (molte decorazioni delle sue opere utilizzavano materiali riciclati), l'efficienza energetica (isolava le coperture già negli anni 20 del novecento creando intercapedini ventilate) e l'ergonomia (i mobili e le maniglie per porte e finestre da lui create anticipano il tema di parecchi decenni). 
La sua genialità non ha creato un vero e proprio movimento di massa, perchè l'estrema personalizzazione delle sue opere rendevano impensabile una riproduzione seriale in larga scala. Ogni sua opera è unica ed è un gioiello, estetico e funzionale. E vederle coi miei occhi, oggi, è stato un grande privilegio ed un'emozione.

Domani dal tempio sacro al tempio pagano: il Nou Camp. Mes que un club!

Profumo del giorno: 
Colore del giorno: Azzurro-verde-rosso-giallo. I colori delle vetrate della Sagrada Familia e delle fontane illuminate a Plaza de Catalunya.
Sapore del giorno: il "gazpacho" di ananas delle tapas al Bruc33.
Suono del giorno: sentire la lingua catalana e sentirsi più vicini alle proprie radici. Veniamo dalla lingua d'Oc.
Tocco del giorno: la morbidezza delle curve dei mobili disegnati da Gaudì.


Vetrate nella navata laterale della Sagrada Familia


Vetrate policrome


Facciata della natività della Sagrada Familia


Casa Batllò: vetrata del salotto dell'appartamento al primo piano


Visione d'insieme di Casa Milà (la Pedrera)


I comignoli sul terrazzo di Casa Milà











giovedì 18 giugno 2015

Giorno 4 - Gotico soleggiato.

Viaggiare è fatica. Conoscere è fatica. Vivere, in generale, richiede tanta fatica, ma ogni fatica, piccola o grande che riusciamo a spendere per conoscere, vedere, scoprire e studiare è una conquista e ci rende persone migliori, perchè la sola abilità che ci può distinguere dagli altri è ciò che sappiamo ed il bagaglio della nostra esperienza. E ciò che ci può rendere davvero migliori è saper condividere le nostre esperienze.

Oggi sono arrivato a fine giornata con addosso tanta fatica, ma con la consapevolezza di aver messo un altro bel mattone nella mia personale costruzione. Erano anni che volevo venire a Barcellona e che per una serie di impedimenti di varia natura non ero riuscito nel mio intento. Questa volta ho avuto la forza di fare tutto. Già, questa volta è tutto diverso da ogni altra. E non posso non pensare a Daniel, il personaggio del mio primo romanzo che organizza il viaggio sino a Barcellona con l'amica Aurelia. Ma quella è un'altra storia.

Ho lasciato la spiaggia della Malvarosa coi suoi interminabili filari di palme e con la sensazione che con Valencia sia nato qualcosa, una sintonia, un dialogo che ho aperto anche altrove (penso a Strasburgo, ad esempio) e che meriti un ritorno.

Chilometri di autopistas nel deserto del territorio della Comunitat Valenciana per risalire verso la più verdeggiante Catalogna. 
L'arrivo a Barcelona è stato identico all'arrivo in ogni altra metropoli. Caos. Traffico. Clacson. Moto che ti sfrecciano a destra e sinistra a un centimetro dalla carrozzeria. Corsie preferenziali incomprensibili e svolte a destra dovendo dare la precedenza a queste corsie per i taxi giallo-neri ancora più alla tua destra. Niente male come incubo per uno che aveva sonno già un'ora prima di arrivare in città.

Parcheggiata miracolosamente l'auto nel garage dell'hotel e ripresi i sensi mi sono buttato nella città. Subito Plaza de Catalunya per ritirare i pass per i mezzi e arriva immediata la sensazione di spazi enormi superaffollati. Per attraversare diagonalmente la piazza ci vogliono quindici minuti. Per girarne il perimetro anche il doppio. 

Tutte le grandi città ormai hanno gli stessi negozi e bisogna cercare in zone meno centrali per trovare qualcosa di più specificamente caratteristico, di più tipicamente locale. Quel qualcosa per cui hai deciso di mettere alle tue spalle tanti chilometri. Sconcerto negli occhi di mia figlia che vede tutti gli stessi negozi che sono da noi in centro o nei centri commerciali. Si chiama globalizzazione, ma nasconde una insopportabile omologazione.

Per trovare particolarità e tipicità ci si sposta al Barrio Gotico e nella zona della Cattedrale. 
Stupefacente la Seu, un architettura gotica così poco grigia. Nella luce del sole tutto appare dorato, da fuori, e quando entri tutto è davvero dorato. Tanta pittura e scultura barocca e qualche tavola ancora medievale, anche questa dorata. Stupendo il chiostro con le oche a stanazzare e una fontanella con l'acqua potabile per dissetarsi.

Tutto il Gotico in questa luce mediterranea assume un tono molto diverso da quello grigio e austero del nord della Francia e del centro europa. 

Le strade di Barça, affollate allo sfinimento mi accompagnano verso la serata in cui l'aria, decisamente più fresca, della sera mi ritempra un po'. Domani si riparte con Gaudì.

Profumo del giorno: incenso e pietre antiche della Catedral
Colore del giorno: oro. Nel sole sulle pietre del Gotico e nelle decorazioni della Catedral
Sapore del giorno: Il mango che mi ha ridato un po' di zuccheri alle 7 di sera lungo la Rambla e la Tempura di gamberi in salsa agrodolce, sulla Gran VIa.
Suono del giorno: Il brusio delle voci dei fiumi di persone a Plaza Catalunya e sulla Rambla
Tocco del giorno: l'acqua fresca nelle mani, alla fontana del chiostro della Catedral




La facciata della Catedral


La navata laterale destra


La cupola 


Edificio storico in Santa Maria del Pì

mercoledì 17 giugno 2015

Giorno 3 - Un lugar para vivir

Per addormentarmi, questa sera, immagino la scintilla di pura follia che deve aver attraversato gli urbanisti di Valencia quando presero la decisione di cambiare faccia a questa città, circa trentacinque anni fa. 
Mi immagino le considerazioni: "C'è un Rio piuttosto squallido che chiude la città ad est, al punto che da quel lato, storicamente, la città non si è mai particolarmente sviluppata. Che ne facciamo?".  La risposta in visione modernista, vien da dire quasi futurista è stata semplice: "Via il fiume, lì faremo parchi e giardini per alcuni chilometri lungo l'alveo, i ponti rimarranno come testimonianza e per garantire che la viabilità non interferisca. Così facendo i giardini, per chilometri scorreranno sotto di essi non avendo soluzione di continuità. Ma questo percorso non può sfociare in mare come faceva il fiume. Chiuderemo il percorso con una vera e propria città dedicata alla scienza, allo sviluppo, alla cultura e alle nostre radici, che si piantano in mare". 
Così mi piace immaginare il concepimento di quel capolavoro architettonico ed urbanistico che ha cambiato faccia a Valencia e che ha reso questa città un posto di assoluto interesse per essere visitata e, soprattutto, un posto bellissimo in cui vivere. 
I chilometri di giardini sono diventati il cuore della città. Questa sera erano pieni di gente che vi trascorreva la fiine della propria giornata persa in tutte le tipiche attività che i parchi consentono: dalla corsa al riposo sui prati, dalla lettura ai baci rubati, dalle pedalati in bici, alle esibizioni degli skaters, senza dimenticare i musicisti solitari, i meditabondi e gli abbronzanti.
Una città viva, che alla fine del suo fiume di gente si accende con le architetture di Calatrava che concepisce degli edifici destinati ad essere storia dell'architettura. Lo scheletro di del Museo della Scienza, l'occhio adagiato sull'acqua dell?Emispheric, Il tulipano del Palazzo della Cultura e l'imponente busta blu mare dell'Agorà sono diventati il simbolo della città nel mondo. E poco oltre, il Museo Oceanografico apre la porta al Mediterraneo che rimane a due passi da lì.
Tutto un quartiere moderno, attivo e brulicante si è sviluppato al di là del fiume. L'impressione che se ne trae è che Valencia sia un luogo dove non si è trascorso abbastanza tempo e che valga la pena ritornarnci.
Il centro storico poi è un piccolo salotto. Con la cattedrale (la Seu) che scandisce con i suoi rintocchi inconfondibili, bassi e rochi. Mai sentito nulla di simile altrove.
Me ne andrò da qui domani con l'idea che questo sia veramente "un lugar para vivir".

Domani si va a Barcelona.

Profumo del giorno: lo zafferano dominante
Colore del giorno: l'azzurro, nel cielo e nelle acque
Sapore del giorno: Paella, paella e ancora paella. Alla valenciana (con pollo e coniglio) o con seppie e cavolfiore.
Suono del giorno: I rintocchi rochi della campana della cattedrale 
Tocco del giorno: la consistenze dei percorsi sui legni nel museo della scienza.

L'emispheric


Citazione di Aristotele


Il nuovo quastiere visto dal museo delle scienze


Panoramica parziale



Il nuovo quartiere di là dal fiume.


Paella con seppie e cavolfiore


Paella alla valenciana


Particolare della cattedrale








lunedì 15 giugno 2015

Giorno 2 - Autopistas

Lunghe, infinite teorie di asfalto separano Arles da Valencia. Poco meno di ottocento chilometri in cui tutto scorre lentamente, dal traffico nervoso francese al progredire dei mezzi in terra di Spagna che sembra quasi seguire le cadenze delle carovane nel deserto.
Non finisce mai la strada tra Barcellona e Valencia, una strada in cui ti accompagna un terreno brullo, punteggiato di tanto in tanto da macchie di vigneti e tanta foresta mediterranea. 
Le città che si incrociano a vista non lanciano la tentazione di farsi visitare. Tanti palazzi anonimi anche in riva a un mare che, quello sì, possiede colori stupendi.

L'arrivo a Valencia è stato accompagnato dalla pioggia. L'hotel in cui mi trovo è bellissimo, moderno ed è a un passo dalla Ciutat de las ciencias. La pioggia mi ha impedito di avere un contatto più deciso con la città, ma questa promette bene. La periferia non è la solita squallida periferia urbana. Tutto appare più che dignitorso. La zona dove sono alloggiato è molto moderna e trasmette un'aria di efficienza e benessere.
Passando la frontiera tra Francia e Spagna ho rivisto le facce torve dei poliziotti di frontiera che dopo Schengen avevo dimenticato. Sono uguali ovunque. Io ho il diritto di circolare liberamente mentre altri debbono accamparsi come animali sperando che le leggi economiche delle cosiddette società civili trovino una soluzione alle loro contraddizioni. Nel frattempo le vite degli uomini scorrono, si inceppano, finiscono. Quale diritto naturale può impedire a qualcuno di spostarsi? Quale legge umana confonde il caso di nascere in un luogo per un privilegio da far valere e difendere con la forza? Io sono cittadino del mondo anche in questo luogo in cui non parlano la mia lingua, ma dove la forza dei denari che porto con me, mi fa assumere una dignità non dimostrata dagli stessi denari in nessun caso.

Non sarà la pioggia a fermare i miei passi oggi. 

Profumo del giorno: l'odore della pioggia
Colore del giorno: il grigio delle nuvole cariche di pioggia
Sapore del giorno: Gazpacho y combo de tapas
Suono del giorno: "Hola", la prima parola spagnola rivolta a me
Tocco del giorno: il cristallo rigato di pioggia dell'ascensore panoramico dell' hotel Primus Valencia.




domenica 14 giugno 2015

Giorno 1 - La luce di Van Gogh.

Perché partire? Perché non basta chiudere gli occhi e immaginare di essere altrove? Nel mio caso è tutto legato alle emozioni. La conoscenza dei luoghi passa attraverso il viverli e sintonizzarsi sulla lunghezza d'onda della loro storia, della loro bellezza, della loro cultura e della loro eredità.
Qual'è il vero obiettivo di questo viaggio? Vedere posti nuovi o conoscermi meglio? Non è sempre il secondo obiettivo a reclamare il primo?
Oggi mi sono messo al volante prima che finisse la notte e ho lasciato alle mie spalle quasi settecento chilometri per immergermi nella luce del sud della Francia.
Qui ad Arles la luce ed il sole ti prendono anche quando non ci sono, perchè sono impregnati in ogni pietra, in ogni ramo, su ogni volto. Mi sono immerso nella luce e mi sono lasciato portare. Caldo, sole, pioggia, fresco: tutto insieme nello stesso giorno. E un mix incontrollabile di ricordi e reminescenze della lunga vacanza a Maussane di venti anni fa. Una ennesima occasione per ricalcolare il saldo della propria vita.  

Les Baux de Provence
I conti di Baux possedevano una fortezza, quasi inviolabile, su uno sperone di roccia che oggi domina le colline di ulivi e vigneti che all'cchio sembrano disegnati e colorati da un bambino. Un po' ovunque campi o anche solo piccoli file di cespugli di lavanda. Più distante la piana della Crau annuncia gli stagni delle foci del Rodano. Qui si respira il tempo e le pietre parlano di altri mondi in cui tutto era diverso e immensamente difficile. La nostra facilità odierna ci porta però a perdere di vista la sostanzialità delle cose. Ho camminato per un paio d'ore immerso in un profumo mescolato di lavanda e rosmarino, bagnato da quella luce intensa che solo qui ritrovo. 

Arles
Piccola Roma. Un piccolo paese saturo di testimonianze grandiose di quanto l'impero romano fosse dominante non tanto e non solo per la sua forza, ma soprattutto per la sua cultura. Il teatro, sebbene della scena restino solo un paio di colonne e tanti frammenti, possiede il fascino che gli deriva dal tempo. Ancora oggi, infatti, dopo migliaia di anni quel luogo ospita spettacoli. 
L'arena, costruita sul modello del Colosseo, in proporzioni ovviamente molto inferiori oggi ospita corride incruente, dove i tori vengono conquistati con le coccarde e non feriti od uccisi.
Grandi gli spazi delle terme di Costantino, anch'esse testimonianza di una cultura che era diffusa un po' ovunque nei territori dell'impero. Ma come è potuto andare in declino un sistema culturale ed economico così potente? Altra storia, altra lezione da imparare.
Le influenze spagnole qui si percepiscono anche nell'aria, nei nomi di locali del centro, nei colori della Provenza che non a caso sono gli stessi della Catalogna.
La luce che gioca, nel tardo pomeriggio, con le vetrate della facciata di St Trophime ha una voce propria e mi parla.
E poi c'è Van Gogh. Il caffè giallo sulla Place del Forum ha fatto da quinta alla mia riflessione serale, degustando un gelato e rinfrescandomi con la brezza oramai fresca proveniente dal Rodano. Qui Vincent cercava la luce e l'ha saputa riflettere nei suoi dipinti, senza riuscire ad accenderl anella sua vita. La maison jaune parla della sua breve esperienza con Gaugin. Tutto appare un po' lontano e decadente, ma è più che mai vivido, al di là dell'apparenza, all'occhio di chi sa leggere oltre la superficialità delle cose.

Profumo del giorno: un mix di lavanda e rosmarino
Colore del giorno: il giallo della luce provenzale, ovunque
Sapore del giorno: Pavè di toro e vino rosso di Aix
Suono del giorno: l'assordante coro di cicale nel bosco di pini marini tra Fontvieille e l'abazzia di Montmajour.
Tocco del giorno: la consistenza ruvida delle pietre antiche del teatro di Arles.

Domani si va a Valencia.





Panoramiche dal Castello diLes Baux




La luce parla dalle vetrate di St Trophime


Le luci calde del centro di Arles


Place du Forum ad Arles - Caffè Van Gogh sullo sfondo e statua del grande scrittore e poeta provenzale Frederic Mistral.



mercoledì 3 giugno 2015

Un balcone in cielo.

Ieri sono tornato ad affacciarmi al balcone dal quale, da ragazzo, ero solito perdermi a scrutare il mondo. Mi sono abbandonato un attimo ai pensieri e ho osservato l'orizzonte disegnato dalle linee delle colline attenuate dalla foschia. La prima aria calda dell'anno raccontava al mio orecchio cose che solo io potevo udire. Parlava a me e di me. Mi ricordava quanto sia stato importante nella mia vita guardare lontano e immaginare tutto ciò che si nascondeva al mio sguardo, quanto sia stato fondante pensare a un altrove ricco di storie e di storia, di mondi da scoprire e di porti in cui approdare sicuro e in cui condividere il proprio viaggio.
Ma non tutti hanno avuto la fortuna di avere un balcone in cielo da cui guardare la vita e continuare a sognarla.