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martedì 27 settembre 2016

Autostrada Autunno Notte

Le luci precipitano nella mia mente veloci come il riflesso dei fanali sulle pupille. Viaggiano in direzione contraria. I giorni del calendario scivolano via in una lunghissima notte del tempo e si perdono nella profondità dei ricordi. 
Nulla rimane di ciò che è stato tranne il vivido profumo di ciò che è perso. Attorno a me macerie e pensieri frammentati in un caleidoscopio di traiettorie umane imperscrutabili. Ma non importa. Siamo forse nati per essere semplici e felici?
Siamo forse nati per ricevere quanto doniamo di noi stessi? Quante corsie corrono in un senso e quante nell'altro? Ripeto: non importa. La strada rimane impervia e nascosta, ma è il solo viaggio che abbiamo e del quale restano solo piccoli fuochi di autunno.
L'orizzonte si nasconde alla notte, ma io lo troverò, alla fine dell'ennesimo solstizio del caos.




giovedì 22 settembre 2016

Via Margutta

Abbiamo tutti nell'anima una strada, vera o immaginaria, che significa tanto per noi. Una strada che percorriamo ogni volta lentamente con gli occhi spalancati e sorpresi di un bambino che sogna. Una strada al riparo dal caos dove la bellezza ti avvolge e ti accompagna, mano nella mano, verso la parte irrazionale del tuo esistere, la parte in cui ciò che vorresti per te ha la meglio su quello che gli altri si affannano ad importi. Una strada dove i tuoi occhi possono vedere l'altra tua vita, quella che ti scorre dentro e dove capisci che i sogni possiedono i luoghi in cui si materializzano. Così ogni volta la percorri in compagnia del tuo Demone e del tuo Amore, ne osservi le luci, le finestre antiche, le edere rampicanti ed i cortili interni che silenziosamente, dietro ai cancelli socchiusi, ti parlano d'altro. Non di città ma di esistenza. E se ti siedi per caso a un tavolino, da lì ripasserà il tuo pensiero ogni volta che avrai voglia di ritrovare ciò che sei. È un luogo magico e, per tanti, immaginario. 
Per me esiste davvero ed è Via Margutta a Roma.



mercoledì 21 settembre 2016

La carta vincente

Alla quinta email mi fermo. O è la quindicesima? A chi debbo scrivere ancora? Certamente ne ho dimenticata qualcuna. E soprattutto: quando scrivo, chi sono? Quale delle mie anime estrarrà la carta vincente e si farà viva? Saltare da un seminario politico ad uno tecnico, per poi guardare questioni amministrative e avere ben chiare in testa le parole del romanzo letto ieri sera e quelle che vorrei scrivere stanotte nel mio, ripensare alle massime riportate da un filosofo e che ho sentito mie quanto il mio stesso nome, il tutto senza perdere mai l'equilibrio, il senso della mia propria identità. Il padre, il professionista tecnico, il politico disilluso ma mai arreso, lo scrittore sottoterra (underground), l'amico fedele, l'eterno marito, il filosofo da retrobottega, l'invincibile sognatore, il dispensatore di sorrisi e lacrime più a buon mercato che conosca, l'innamorato permanente, il grillo parlante che ronza come una zanzara per il fastidio di chi non vuole sentirsi dire le cose, il pacificatore delle diatribe più inutili... che abito metterò nei prossimi minuti? Io non sono certo per tutte le stagioni, eppure sono indissolubilmente tutti questi uomini ad un tempo e molti altri ancora e nessuno di loro rinnega nessun altro. Questo rende la mia vita ricca e, in un certo senso, felice, anche se ciascuna luce conosce benissimo la propria ombra. E combattere con tutte queste ombre diverse talvolta è troppo faticoso. E vorrei essere altro. Vorrei essere soltanto luce e calore, sorrisi e felicità da dividere con tutti coloro che ne vogliono un pezzo al solo prezzo dell'onestà. La moneta di cui tutti vantano grande ricchezza, ma che pochissimi sono disposti a spendere.





domenica 18 settembre 2016

L'infinito

Amo i verbi all'infinito, perchè teorizzano un'azione lasciando la libertà di coniugare e declinare un'intera tavolozza di toni sfumati, di possibilità di collocazione e ricollocazione di quest'azione nei tempi e tra le persone.
Così mi imbarco ancora oggi per un viaggio verso l'ignoto del foglio bianco fissando questo tempo presente che si incendia all'orizzonte, modellando questa materia a mani nude, cercando di plasmarla in un passato felice. 
Scelgo con cura i miei verbi, le mie azioni e ad una ad una le rendo vive, attuandole. Costruendo silenziosamente ciascuna delle vite che vivo (e sono tante!) tra compagni di viaggio invisibili, sirene irresistibili, isole fantasma e amici disposti a tutto per distruggermi.
Ho sempre amato troppo per non restarne dolorosamente ferito. Amo le profondità di acque che non si trovano ovunque. Amerò sempre la semplicità di un tramonto in grado di rifiutare la banalità del giorno, E non mi perderò lungo questa rotta che ci conduce verso un'isola che non c'è. Sognerò molte lune ancora e ancora altri mondi. Ne respirerò le speranze e i profumi. 
Quando il mio guscio di noce riapproderà in porto, getterò l'ancora. Fisserò quel tempo che fu un futuro e divenne poi un presente, nell'archivio del mio passato. 
E dopo tutta questa tempesta il verbo tornerà all'infinito. Voce del verbo amare.




venerdì 16 settembre 2016

Scrivere Pensare Pensare Scrivere

Chiuso nel silenzio di questa stanza anonima, mai la stessa e sempre uguale, mi ritrovo solo a costruire mondi da forgiare nell'inchiostro. Risulta impossibile svestirmi l'anima dai ricordi che l'avvolgono, così come mi appare irreale guardare verso lo specchio e non vederti. Tuttavia le mie parole nascono ancora, crescono e la storia si snoda. 
Non sarò originale. Non sarò divertente. Non sarò niente. O sarò tutto. Non mi importa. 
Non vendo nulla, né pontifico sui destini dell'uomo e dell'universo. Non ho verità da imporre né puntini da interporre. Non giudico mai, ma valuto sempre. Valuto se lo sento mio, se mi suona bene, se tutto questo ha un senso e se questo incidentale susseguirsi di pensieri produce la scossa che mi regala emozione. Se questo è il seme che può far crescere altrove altrettanta emozione. 
Eppure quante frasi ho cambiato? Quante ne ho cancellate? Mi risulta impossibile maneggiare materia così fragile e delicata senza mettere in discussione ogni volta me stesso ed accarezzare il pensiero, dargli forma lentamente, facendolo crescere con la sua autonoma pigrizia, farlo giungere a galla, sulla superficie di un foglio, tante volte virtuale, col profumo dell'anima che lo ha generato mischiato a quello che lo ha ispirato. Scrivere è amare il pensiero, perchè dal pensiero passa tutto ciò che leggiamo.
Cambiare l'ordine di due parole può sembrare un vezzo ed invece può spostare il senso, il suono, il concetto, può creare collegamenti diversi e portarti altrove. Esattamente nel luogo in cui ero quando ho immaginato tutto questo e dove resterò sino a quando anche una sola persona sentirà fiorire in sé l'emozione seminata sul mio foglio.


martedì 13 settembre 2016

La chiave del cassetto

Forse è meglio non pensarci. Forse è meglio fingersi distratti da qualunque insidioso impegno catturato dal mostro sacro del dovere e guardare avanti. Perchè rendersi insonni e febbrili se la più straordinaria delle parabole luminose terminerà comunque nella notte? Perchè amare non corrisposti, scrittori non letti o pittori inosservati? 
Perchè la chiave di tutto il nostro esistere è la speranza. La speranza di una corrispondenza che ci colga ovunque e ci dia conforto e luce sul nostro cammino cieco.
Ma questa corrispondenza è rara quanto il transito di una cometa. Per il resto si naviga al buio. Buio fitto nel quale non cessiamo di dibatterci.
Ma dove finiscono le nostre parole? Dove finisce tutta questa energia che mettiamo nel dipingere il nostro sguardo sul mondo?
Voglio pensare che tutto finisca nel cassetto della nostra storia. Quel cassetto di cui tutti noi umani invochiamo l'apertura, ma che rimane per gran parte inaccessibile al mondo. La chiave, talvolta, viene persino smarrita. E può capitare che qualcuno, cercando la propria chiave, la trovi nel cassetto di un altro. Ma questa è un'altra storia.


venerdì 9 settembre 2016

Il confine

Al riparo nuovamente. Si apre un nuovo vecchio libro trovato martedì sera a Firenze. Il Potomak di Cocteau. Il primo romanzo, scritto circa 100 anni fa. La sua scrittura è viva e visionaria, fresca come se la penna si fosse appena alzata dal foglio. 
C'è qualcosa che unisce alcune anime lontane, una sorta di risonanza che vibra dentro come un richiamo e porta ciascuno al cospetto della parola dell'altro, del proprio insopprimibile riflesso che appare su uno specchio vuoto come un'immagine in dissolvenza. Arriva, sale, appare. Sempre più nitida e definita. Sempre più reale e meno sfumata.
Sento qualcosa in me verso cui tendere. Nella direzione di quella tensione che porta al confine tra arte e follia. Il confine dove vive la parte migliore di noi, quella che sconfigge la paura e il dolore, perché non appartiene alle sterili classificazioni del tempo. Quella della creazione e dell'Amore.


lunedì 5 settembre 2016

Noi

La luce delle parole conduce fuori da ogni notte, perché ci porta altrove. Non esiste dunque un dentro o un fuori da questo tunnel che è il nostro esistere. Viviamo in questo anfratto temporale che percepiamo come un immenso universo e l'Amore è il miraggio che tradisce lo sguardo, azzerando il nostro senso del tempo. Non c'è un traguardo per questo viaggio, solo il susseguirsi di stazioni assolate e di corridoi inzuppati di pioggia dove ci si consuma per nutrire altri viaggiatori. Siamo seme e terreno ad un tempo. Occorre dunque sorridere per somigliare agli umani? Certamente occorre non piangere per fingersi forti. Abbiamo un privilegio immenso che è quello di vedere attraverso cose e persone ciò che sostiene il peso del mondo. Tuttavia abbiamo un dovere improbo e spesso doloroso, in quanto accompagnato da un grandissimo senso di inadeguatezza, che è quello di essere degni di questo privilegio.



venerdì 2 settembre 2016

Luna

Vacanza.
Un vuoto di quotidianità. Un vuoto. Mancanza. Una notte senza più luna non accende il mio cielo e lascia altrove le stelle. E non accende il mio giorno nemmeno questo sole spento che ubbidisce al dovere di alzarsi, incurante su cosa. La solitudine di questo luogo non si riempie nemmeno con la folla vociante che mi passa accanto. Una foresta di rabbia che brucia nell'indifferenza. All'ultimo stadio le fiamme si estinguono e lasciano solo odore di spento. Lento il ricordo riemerge. Perché dovrei cercare e trovare parole? Forse per salvarmi dalla deriva di un oggi così vuoto di senso? Per sopprimere in me la voglia di altro che esiste, di altro possibile, di altro che solo il caos ha sottratto ai miei occhi?




«Date parole al vostro dolore altrimenti il vostro cuore si spezza».

William Shakespeare, “Macbeth”