I Temi

Le Pagine

venerdì 20 gennaio 2017

Love letters

Che meraviglia sono le lettere d'amore!
Ne ho scritte tantissime per pochi, pochissimi destinatari. Ma la mia anima ne è intrisa.
Queste lettere sono il tentativo estremo di conservare un fiocco di neve. O di cristallizzare un battito di ciglia.
Mettere in parole un sentire che solo gli occhi sanno dire veramente, non è facile. Spesso chi si cimenta in esercizi di questo tipo scade nella banalità, agli occhi di chi non coglie quel filo invisibile che lega due esseri viventi. La banalità sta nel fatto che questo sentire è simile in tutti noi eppure il senso che ne cogliamo, vivendolo, è quello di unicità. Di diversità da quello che accade a chiunque altro. E a questa presunta unicità, in questi istanti, diamo un valore infinito. 
Scrivere d'amore non è facile, ma facilissimo. Basta descriversi. Ma se ne coglie solo la forma plastica e non l'essenza spirituale, che è il vero motore. Scrivere l'amore, invece, dare inchiostro a questo sentire, è un'utopia. Impossibile. L'estasi, l'estate dell'anima, la presenza costante dell'altro in ogni gesto proprio non è facilmente sintetizzabile in parole. E allora si usano le metafore, perchè non ci è possibile farne un quadro reale. 
Nonostante questo senso di impossibilità che dovrebbe dare frustrazione, non si smette mai di farlo, nelle forme più diverse. Dalle lunghe lettere scritte a mano ai pochi caratteri di un messaggio su un telefono, dal biglietto di auguri per qualsiasi ricorrenza, al raccontarsi per donarsi maggiormente. Ho scritto la mia prima lettera d'amore che non avevo ancora visto dieci primavere e la vivevo come un esercizio di stile, perchè non ne conoscevo davvero la sostanza.
Da allora non ho più smesso di farlo, nè di inseguire l'utopia, perché la sostanza, a volte, è ancora più volatile delle parole.


venerdì 13 gennaio 2017

Nella pioggia

Strano suono ha il vento oggi. Soffia per rabbia, noia o stanchezza? Libera il profumo salato di pioggia sulle mie labbra asciutte, mentre aspetto che questo vento spazzi il fondale della mia mente. Aspetto una nuova sera, uno sprazzo distante di notte stellata che zittisca questo rumore di fondo doloroso e incessante. Proietto i miei occhi accesi lungo la linea dell'orizzonte cercando risposte, trovando solo pioggia di confine tra ricordi, sogni e pensieri che migrano via verso un tempo senza più forma. 
Cosa aspetto ancora? La pista più semplice è sempre quella maggiormente battuta ed è lì che non ci troverermo mai. Ci definiremo per difetto: quando avremo buttato tutto ciò che non siamo, rimarremo noi. Noi nella nostra pelle stanca e non i nostri interpreti sempre pronti alla rappresentazione del prossimo atto di questa consumata commedia.





lunedì 9 gennaio 2017

Maschere

Muovo piano il silenzio che ci circonda. Non vorrei creare onde troppo difficili da cavalcare. L'estate è lontana e non ho indumenti adeguati. 
Ascolto il respiro e penso. Leggo gli occhi e sento. Penso a quanto vissuto e non mi scopro troppo indulgente. Non ci sto. Non so far finta. La vita non è un disegno che svela, ma un solo tratto che lega tanti punti distanti. Debbo dunque prendere le distanze e osservare, per vedere veramente. E lì rivedo la luce, lo sguardo che esprime, in silenzio o parlando d'altro. E lì resta. Rimane in me. Osserva e mi osserva. Quindi si manifesta come una radio che improvvisamente trova la sua sintonia e mi parla. 
Non c'è bisogno di cattedrali per celebrare. Non serve la rondine per la primavera. Il bello dista dal giusto solamente lo spazio della convenienza.
Conosco tutte le sue canzoni, ma so cantarne pochissime.
Mentre scrivo continuo a leggere, perchè ciò che si può dare è tanto più grande quanto maggiore è quello che si è disposti a ricevere. 
Dunque osservo ad occhi chiusi e lentamente recito le parole che affiorano sulle mie labbra come fiori di aprile. Fiori di uno stesso sangue. Quello che ci fa guardare nella medesima direzione pur proveniendo da galassie non confinanti. 
Demolisco così una ad una le assi del palcoscenico che ha animato le nostre maschere. Ciò che siamo stati un giorno, resteremo per sempre. E ci riconosceremo ovunque, sebbene persi a ballare distanti, sul carro di un carnevale qualsiasi.