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lunedì 12 ottobre 2020

Gallerie

Giro ogni mattina il numero del mio calendario, fissandone gli elementi: il mese, il numero ed il giorno della settimana. L'osservo soddisfatto per un po', come una piccola conquista e cerco di vedere oltre, nella mia memoria passata come nella nuvola del futuro. Niente sarà più come prima. Niente è più come prima. Ma quanti "prima" ci sono in questi miei pensieri? Quante volte sono già morto e rinato? Viviamo in una esplosione di elementi che si incrociano e si separano, si accompagnano e si scontrano senza un apparente percorso definito. Non voglio parlare di senso logico, quando si cerca solo di non affogare nel caos. In questo viaggio ho attraversato già tante gallerie e ogni volta mi sono chiesto "quando finirà questo tunnel?". La galleria di oggi sembra infinita e nessuno parla più della destinazione ma solo del viaggio. Siamo spostamenti, tra un lampo di sole abbagliante ed uno scroscio pioggia a spezzare lo stagnante grigiore che nemmeno cogliamo, perché siamo iniettati nel buio e ci confortiamo con le sole luci di cortesia. Quando arriveremo, non saremo comunque più gli stessi. I nostri compagni di viaggio non saranno più gli stessi. Ciò che ci circonda non assomiglierà più a niente che abbiamo conosciuto. Forse solamente perché i nostri occhi saranno cambiati e stanchi, alla ricerca di quella uscita che abbiamo sempre pensato luminosa.




mercoledì 29 aprile 2020

Askatasuna

Non ho saputo parlare ancora dell'angoscia di questi mesi, dello stupore di ritrovarsi da un giorno all'altro protagonisti di un film catastrofico in cui manca però l'eroe che salverà il mondo. Sono arrivato a comprendere che forse tanti di noi lo faranno, ma il mondo non si salverà, non quello che conoscevamo, almeno. Qualcuno proverà a replicare il modello passato, ma non potrà funzionare, semplicemente perché noi non saremo più gli stessi. 
Vorrei poter dire cosa saremo, ma, come qualsiasi altra persona, esattamente non lo so. Tuttavia, come chiunque non abbia vergogna di possedere una fantasia ed una certa attitudine all'astrazione, posso costruire mondi ipotetici nella mia testa. Vorrei sperare che in quei mondi si potessero cogliere gli effetti del profondo rigetto della cultura patito dalla nostra società negli ultimi lustri e che si ricominciasse a salire la scala evolutiva umana, che pare aver preso una pendenza opposta alla tanto celebrata evoluzione tecnologica. 
La cultura in sé non ha nulla di snob, può essere assolutamente aperta a chiunque e, oggigiorno, può essere pressoché gratuita. Richiede però dedizione, l'umiltà di aprire la mente, mettersi in gioco e lo sviluppo di una onesta capacità critica verso le cose della vita, con l'acquisizione di un'obiettività anche cruda nei confronti di tutto, a partire da se stessi.
Di contro, restituisce una quantità di cose positive che onestamente non saprei contenere in un elenco esaustivo, anche perché questo può essere diverso per ciascuno di noi.
A me la cultura regala innanzi tutto empatia. E voglia di confronto, mai di scontro. Poche cose mi regalano felicità più della percezione della conoscenza degli altri. 
Essendo la conoscenza un patrimonio immateriale, il suo valore si amplifica e si moltiplica enormemente attraverso la sua condivisione con gli altri. L'altro è la ricchezza del proprio conoscere, è la terza dimensione che sviluppa in profondità ciò che alla nostra vista appare vasto ma piatto nelle due dimensioni del nostro sentire individuale. Per conoscere bisogna aprirsi all'ascolto - la lettura cos'è se non l'ascolto della parola scritta? - bisogna aprirsi alla comprensione, non fosse altro per sviluppare una coscienza critica.
La cultura, poi, non è esibizione e non deve mai essere una porta chiusa verso l'altro, ma, al contrario, deve indicare o eventualmente aprire una strada che ciascuno noi potrà liberamente percorrere.
Chi fa uso della cultura come di una proprietà, o la dispensa da un pulpito da cui arringa o catechizza gli altri, non ha capito il valore autentico di cui dispone e fa uso del suo sapere sterile come di un bene materiale che fa di lui il più banale homo economicus e decisamente un derivato limitato dell' homo sapiens
Ovviamente non immagino un mondo dove tutti siano assetati di conoscenza e affamati di condivisione, ma voglio credere che l'odierna solitudine, figlia di una fittizia e sovresposta socialità virtuale, ci possa ricondurre a vivere la parte più spirituale del nostro esistere - non necessariamente mistica - in cui il pensiero non si limiti al bisogno materiale diretto, ma che sviluppi la riflessività necessaria e ci restituisca con la lentezza dovuta alla contemplazione di quell'attimo fugace che è la nostra vita.


martedì 28 aprile 2020

Ventidue

Anche ventidue anni fa pioveva.
Anche ventidue anni fa erano giorni di attesa senza sapere davvero cosa ci avrebbe riservato il domani.
Anche ventidue anni fa avevo mille progetti in mente, per me come per noi tutti.
Ma i mille progetti sono esplosi in infiniti pensieri, troppo spesso lontani dal trovare una felice corrispondenza.
Alcuni hanno avuto la possibilità di prendere forma, altri sono rimasti nel magma che mi abita in profondità.
Tante volte il mio sentire non è risultato abbastanza forte da cambiare la luce delle giornate, lo so.
E tante volte la mia voce non è risultata abbastanza convincente, perché non ha mai cercato di blandire le scorciatoie.
Ho ricevuto tante lezioni ed ogni giorno ne ricevo di nuove, ma ancora oggi non posso dire di avere imparato veramente il mestiere di vivere. 

La cosa incredibile dell'avere figli è lo spaesamento di chi è chiamato ad insegnare e si accorge di avere tutto da imparare e che ad insegnarci qualcosa, ogni giorno, è la vita. 

E visto che le risposte non ci sono, bisogna essere dei veri artisti per risultare credibili. Perché solo nell'arte estrema, quella gratuita, quella che si sa condividere, esiste la vera sincerità. 
E in tutta sincerità io ci ho provato a dare un senso a questo teatro fatto di piccole cose e grandi pensieri.
E in questo giorno di aprile, di chiusura al mondo, di allontanamento da tutti, ti vorrei offrire un libro per aprire lo sguardo oltre alla gretta quotidianità, un albero sotto cui sederci insieme a parlare e un ombrello, perché ventidue anni dopo la pioggia continua a cadere. 


PS: Auguri Fillo!

sabato 18 aprile 2020

La Biblioteca nel Parco


Salirono le scale della biblioteca ed entrarono in una serie di stanze con qualche isolato lettore, sino a quando non si fermarono in una piccola sala dove non c'era nessuno, occupata solo da libri e scaffali. Le parole stampate nei testi che li circondavano, sembravano tutte già scritte dentro di loro. Infatti ogni sguardo posato su una copertina forniva lo spunto per un pensiero, un ricordo, un'idea. E fu questo crescente collegarsi e trovarsi a farli sorridere. Quando pensarono entrambi alla stessa cosa rimasero immobili in un angolo della saletta, ma esattamente al centro del loro sentire. La sorpresa fu enorme. Non capita spesso nella vita di desiderare qualcosa in modo così forte e profondo da togliere il sonno e cancellare la presenza di ogni altra cosa o persona attorno. Non esisteva più il mondo, non esistevano i libri e le loro stesse parole. Sapevano bene che quel mondo non avrebbe approvato la loro luce abbagliante, perché il Caos non tollera la luce troppo chiara, preferendo l'indefinita oscurità. Il loro bacio fu così, immenso e silenzioso, osservati solo dalla biblioteca nel parco, con gli occhi aperti a fissare l’incredibile altro sé che si ricomponeva nel tutto che stavano finalmente vivendo. In quegli occhi aperti c'era l'affermazione di ciò che l'altro rappresentava: si sarebbero baciati anche se il loro bacio fosse stato mortale e ben sapendo che da quel passo, la loro anima, non sarebbe più tornata indietro.


domenica 1 marzo 2020

ventiventi

Chiuso.
In un istante tutte le parole sono ammutolite, congelate in questa primavera falsa e precoce. Come un foglio d'appunti sbagliato, questo tempo è pronto per il cestino. Ma chiunque lo può raccogliere.
Con il suo fiore d'Ibisco in mano, Jean cammina al fianco dell'uomo dalla testa di cavallo e la pellicola della vita scorre al contrario, notte dopo giorno, febbrile attesa in cui il tempo ha perso l'unità di misura.
Debbo curare i miei dèmoni e dare una forma alle nostre figure disegnate sull'acqua.
Sarà sempre domani.





lunedì 24 febbraio 2020

La Voce

Ho l'impressione, talvolta, che in certe giornate di sole o nelle corrispondenti notti lunari, la densità dei miei pensieri assuma persino una solidità materiale. In quei momenti vorrei stringere quella materia tra le mani per scolpire figure, accarezzarle e plasmarle per modellarne la forma sino a definire e cogliere quel pensiero che l'ha generata. Ma poi, troppo spesso, il silenzio mi assale e ad esso mi arrendo.
Così prendo sottobraccio i ricordi che corrono lungo una vecchia strada ferrata, mi adagio sulla stessa vecchia panchina, gli occhi al cielo, ad osservare le nuvole stendersi al soffio del vento come le membra di un gatto che si stirano al loro risveglio. Rimango a godermi il calore di un'estate dell'anima che sento vicina molto più di quanto la trivialità del calendario evidenzi e, mentre perdo lentamente coscienza, cullato dal nulla in cui scivolo, una voce, la tua voce, mi prende, mi solleva e mi restituisce alla vita. 
Non stavo dormendo, morendo o partendo anche allora? Ero soltanto io, veramente?
Le cose più belle risplendono inattese in uno spazio di meraviglia che ci accompagna fuori dal tempo. I miei occhi stanchi o la mia pelle invecchiata non riconoscono la truffa del tempo. Io resto sempre nella biblioteca del parco e nella notte più bella che un maggio ricordi. Io resto quel cane che abbaia forte alla Luna per tenerla sveglia al suo fianco e che, certamente, di quella Luna ha potuto contemplare il riposo. 
Dorme, ancora e sempre con me, quella Luna.




martedì 14 gennaio 2020

Riflessi

Penso a quanto sia bello e ingannevole il riflesso delle cose.
Coglie la forma e racconta solo ciò che vediamo.
L’orizzonte dietro al finestrino ci parla di case, ma non di quello che vi succede dentro.
Lo sguardo di una ragazza che sorride al telefono ci inganna con una primavera dove aprile è passato da un pezzo. Il cielo sopra al respiro calmo del mare ne coglie l’azzurro ma non ha coscienza di quanta vita e morte vi sia in esso e la luce, sfumata e lattiginosa, che fa brillare la luna e fa innamorare i poeti é quella del sole nascosto. Siamo riflessi in cammino. Trascuriamo di fermarci, forse, per il timore che si colga che siamo solo il riflesso di qualcosa che non ci rappresenta affatto. Ma oltre il tramonto c’é la notte e la notte contiene tutto ciò che non appare. E in essa ci ritroveremo. Sul pavimento di maggio, sulla balconata di un teatro collettivo, nelle lenzuola macchiate di sangue e ci resteranno due minuti soltanto per rivestirci e scappare prima che la luce del giorno ritorni a fare di noi le ombre che popolano i nostri segnaposti affacciati sul vuoto.