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venerdì 2 marzo 2018

Distopic

Ho attraversato, negli ultimi giorni, questo paese sconfitto e addormentato sotto una coltre grigia di nubi basse, nevischio, ghiaccio e rotaie che sapevano di ferro e di fumo, di ruggine e officina. Eppure siamo stati cultura e bellezza. Ho lasciato scorrere questa teoria di affreschi come una pellicola d’epoca proiettata nella mia immaginazione. E mi sono accorto di non riconoscere i luoghi visti centinaia di volte. Mi sono scoperto sorpreso, improvvisamente sopraffatto dalla malinconia, osservando certi scorci di mondo abbandonati dalla memoria dell’uomo. Ho attraversato con l’anima tundre padane e colline umbre punteggiate da casolari diroccati dove un tempo hanno vissuto uomini, dove - chissà - forse sono persino nate altre vite, altri amori, altre malinconie. Oggi di tutto quel fare, di tutto quell’amore e di quelle malinconie restano solo macerie e oblìo. E mi domando: quale futuro distopico può ancora attenderci, se la realtà appare già oggi così cupa? Oggi vedo l’essere che si misura sull’avere ed il senso di possesso che annichilisce il desiderio di conoscere e scoprire. Ma tutto questo battersi vacuo, tutta questa rincorsa sempre incompiuta, questo innamorarsi fatuo di cose e persone complementari solo al proprio mutevole e contingente vuoto interiore, potranno mai lasciare qualcosa di diverso da macerie e oblio?