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venerdì 25 settembre 2015

Autunno.

Un brivido lungo la schiena dovuto ad un tessuto troppo leggero dà il primo segnale che i lunghi giorni di sole sono quasi finiti. La pioggia che non dà ristoro ma abbatte la temperatura è il secondo indizio di questo passaggio. Non occorre dirsi nulla di più, basta osservare l'intensità della luce che si attenua, attribuendo un tono più caldo ai colori. Sottile quanto una foglia caduta dall'albero, la malinconia che avvolge le cose ed accompagna questa stagione, nasce al sempre più anticipato crepuscolo. In quell'istante la nostra mente apre una finestra affacciata sul mare del tempo e fa riaffiorare i ricordi, perchè questà è una stagione e quello è un istante in cui tutto riemerge. Il ricordo dell'estate che è appena trascorsa lo colgo dal colore ambrato della pelle che ancora non ha ceduto al freddo il proprio calore. Riaffiora il pensiero di tutti gli altri inizi d'autunno vissuti, tra scuole e libri, matite e quaderni, carte d'ufficio utili al mondo quanto la noia che le accompagna, progetti inattuabili e idee da sviluppare, cose da fare, case da costruire che avremmo voluto ultimare ma delle quali talvolta resta solo lo scheletro. Ritornano i pensieri delle persone che hanno attraversato le nostre vite e ancora ci accompagnano dentro ovunque, nascoste un millimetro dietro al sorriso incerto che riusciamo a  mediare col mondo. Ritornano a galla gli obiettivi nascosti un tempo nel cassetto in fondo all'armadio, in attesa che il domani potesse diventare un giorno migliore, che io potessi diventare una persona migliore.  
La sera scende sui miei pensieri e l'autunno mi invita a correre fuori da questa stanza. Le luci si accendono ed io mi tuffo nel loro abbraccio. La notte è chiara.


mercoledì 23 settembre 2015

Corridoi

Percorro questi corridoi apparentemente infiniti che mi conducono, passo dopo passo, alle sale del mio strano museo dove ritrovo la mia anima e la luce ci accoglie. Indicibile e grandiosa, gradevolissima e mai abbagliante, essa ci indica la verità, l'affermazione innegabile di ciò che siamo. Non serve opporsi o fingere, né sottovalutarne la forza dirompente, che apre porte, abbatte muri e recinzioni mentali per offrirci la nostra immagine riflessa sullo specchio d'acqua attorno al quale riposano le nostre combattute e camuffate solitudini. Possiamo osservarci tra sorpresa e stupore, sicuri che per tutto il resto mondo, oltre lo specchio, tutto questo apparirà distorto, diverso quando non completamente oscuro. Ma noi restiamo lì, in piena luce, a cogliere il vero motivo per cui vale la pena esistere. Qui e ora sarà sempre e ovunque noi saremo. E lungo questi corridoi apparentemente infiniti non esisterà più il tempo così come lo abbiamo conosciuto. 


domenica 20 settembre 2015

L'eredità della scrittura

A testimonianza della bontà dell'insegnamento socratico, Marc Augé ieri ha risvegliato in me alcuni concetti che mi appartenevano da sempre e giacevano dormienti in una zona inesplorata del mio esistere.
La scrittura, il demone che ha bussato alla mia porta sin da quando ero ragazzo, è innanzi tutto un atto volto a riconoscersi vivo ed una dichiarazione di fiducia e di appartenenza indissolubile al genere umano. Alla parola scritta, infatti, affidiamo un compito di cui non possiamo percepire appieno la portata, in quanto chi scrive non conosce necessariamente il lettore e quale influenza produrrà su di lui, ma che è una chiara traccia di noi stessi che lasciamo in eredità.
In eredità a chi? Chi può essere interessato a ciò che si scrive? Non è dato saperlo, ed è proprio in questa chiave che va letto l'atto di fiducia verso il genere umano. La passione per l'altro, inteso anche solo come frammento di uno specchio di sé, è nel nostro codice genetico. All'interno di questo potrà compiersi la miracolosa corrispondenza di chi leggerà e farà proprio quello spirito lasciato nelle parole. Ogni parola scritta, quando diventa atto compiuto, sia essa poesia, romanzo, relazione, saggio o anche semplicemente lettera, non ci appartiene più ma è già un nostro lascito e diventa parte della nostra eredità al mondo. Un mondo spesso sordo, cieco e distante verso il quale, scrivendo, rinnoviamo una fede irrazionale. Fortunato chi trova luce e vede raccolti anche piccoli segnali di corrispondenza.

Carpi - Piazzale Re Astolfo -  19 settembre 2015 - Marc Augè - La scrittura fra eredità e avventura



martedì 15 settembre 2015

La stanza a righe e quadretti

Varcando la soglia di questa sala, si risulta attratti dal profumo dolce del legno temperato delle matite, della grafite, dalla polvere di gesso sulla lavagna e sulle dita. 
Ebbene si, si va a scuola! 
Dopo aver navigato nel limbo di una prima infanzia molto domestica (i nidi erano quelli dei canarini sui nostri balconi, gli asili erano quasi solo sagrestie molto spartane con suore da incubo) si mettono i piedi in acqua e si spinge il nostro guscio verso il largo.
Un bambino aspetta davanti al cancello, osservando con occhi sgranati l'edificio che lo ospiterà. Lo conosce da quando è nato ma non lo ha mai visto così. Questo è l'altrove che il suo mondo prospetta, anche se dalle finestre si vedrà il balcone di casa. Tutto sembra lontano, come l'estate che è finita da un pezzo. La scuola inizia ad ottobre e le foglie sono irrimediabilmente gialle, così come le prime ghiande che cadono dagli alberi del giardino che circonda l'edificio. Ai tempi non ci si curava di impattare l'emotività con attività di inserimento, colori studiati da scienziati per far sentire a proprio agio gli alunni nelle aule. Tutto però era bianco e pulito e non c'era scuola che non fosse circondata da un giardino. C'era bisogno di imparare le stagioni osservandole. 
Si entra in classe a fianco di un plotone di sconosciuti nei grembiuli neri con fiocco azzurro o bianchi con fiocco rosa. Quanta curiosità suscitano i grembiuli bianchi? La maestra scrive alcune parole alla lavagna e capisce chi sa leggere e scrivere. Si, lo so fare, anche se per scrivere "casa" arrivo a bucare la pagina a furia di cancellare e riscrivere. Non so disegnare. No. So scrivere e leggere ma non fatemi disegnare! Io ho un altro alfabeto. E invece no. Bisogna disegnare. Alla fine di ogni pagina scritta deve seguire un disegno che la rappresenti. Oggi tutto questo mi ricorda qualcosa. 
La maestra parla lentamente e sembra davvero felice. Ha una voce profonda e rassicurante, ma non è la mamma di nessuno. E senza alcuno scrupolo ci mette davanti agli occhi i nostri errori. Quanto è difficile accettarli? Quel microscopico buco sotto la parola "casa" ha le dimensioni di una voragine che vuole inghiottire tutta la mia già relativa buona volontà.
La carta bianca dei quaderni appena aperti possiede però un profumo stupendo, che prefigura un monte di cose che farò mie per sempre. Le pareti ancora spoglie, la cartina alla parete, tutto sa di nuovo ed è senza tempo. Ma ciò che più è nuovo sono io, che ho imparato qualcosa e che porterò a casa con me. Aprirò i miei quaderni e farò vedere dove sono stato capace di arrivare.
Suona la campanella. Secca e metallica, sembra quasi un allarme. La fine di un giorno. Il 1 ottobre 1972. Un inizio.





venerdì 11 settembre 2015

Nella luce di Jean

Grande e terribile il destino del poeta, di dover ricorrere al proprio alter ego per mediare l'incongruenza della sua immagine nuda con quella della sua ombra, proiettata sulla strada della propria vita terrena. 
Perché fare poesia? Perché giocare con pensieri, parole, immagini e suoni? Perché dare materia a quanto di più immateriale esista, ovvero il sentire umano? Renderlo emozione, sensazione, sapore, percepirne la consistenza e coglierne il profumo?
Penso che l'arte sia una forma estrema di amore, in cui l'artista stesso si trasforma in linguaggio attraverso cui la sua essenza trasfigura nella materia che nutre l'anima di coloro che ne fruiscono. E il brivido di ciascuno diventa il richiamo di chi percepisce il demone che lo segue. 
In piena luce deve andare il poeta.
L'uomo è nella notte. L'arte, come l'Amore, è luce.



Jean Cocteau - Il testamento di Orfeo