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venerdì 29 agosto 2014

Conversazioni

Parole a fiumi, a getto, a cascata, mari di parole, muri di frasi, intrecci di concetti, conseguenti e derivati, ma questi giardini resteranno segreti sino a quando qualcuno non varcherà la soglia di un cancello, ascoltando l'altro. 
Facile è sentire, difficile è ascoltare. 
Troppe volte mi sono imbattuto in persone che mi hanno detto "non puoi capire" ed invece capivo benissimo.
Facile è giudicare, difficile è comprendere, che comunque non vincola a condividere.
Per me non c'è cosa al mondo umanamente più interessante dell'ascoltare le persone. E le persone diventano belle da ascoltare quando offri loro la percezione che le loro parole siano di tuo interesse. Nell'ascoltare si può innescare un processo di comprensione e da questa si può avere la misura che ci separa dall'altro. Questa misura non è un giudizio ma è un'affermazione di relatività. Siamo d'accordo? Non importa, non è questo il punto. Importa la connessione che si è innescata tra noi. Ci misuriamo, non duelliamo. Non si può ascoltare solo ciò che può blandire le nostre opinioni. Non si può negare l'ascolto a ciò che ci infastidisce, perché tutto questo mare in tumulto è la realtà e in questa tempesta dobbiamo navigare. 
La distanza dall'altro possiede un risvolto epidermico. Il piacere di una conversazione con chi ascolta e ti permette di ascoltarlo dona benessere psichico e conseguentemente fisico. 
Dalle parole di una conversazione può nascere tanto: una storia, una guerra, un amore, l'idea che salverà la vita di qualcuno ma non la tua, il tuo prossimo libro che ingombrerà il comodino di uno sconosciuto, il prossimo libro di uno sconosciuto che accorcerà le tue notti, la formulazione che definirà un canone, il soprannome che etichetterà la vita di qualcuno, la poesia che accompagnerà la vita di altri.
L'amicizia è la consapevolezza comune di una reciproca equidistanza dalle cose. L'amore è l'azzeramento di ogni distanza reciproca. Il fondersi di due relatività in una luce assoluta. Alle volte è un bagliore stellare. Alle volte è il sole che sorge alla fine di una conversazione col buio.


giovedì 21 agosto 2014

Nei miei occhi

Ho cercato il silenzio. La solitudine apparente. Avevo bisogno di quiete e di sentire il vuoto di questi giorni in tutta la sua pienezza. Ho preso le misure al mondo mille volte ancora e sono rimasto comunque un esploratore inquieto, costantemente teso alla ricerca di qualcosa che dia senso al caos in cui ci dibattiamo. Non sono bastati i miei occhi per poter vedere la luce. Sapevo che avrei dovuto aspettare. Ma la luce esiste, alla fine di ogni notte più buia. E la luce è tornata. 
Più passano gli anni e meno capisco l'umanità, che ricerca quasi solo di rappresentarsi senza esistere veramente. Eppure vivere non sarebbe difficile. Basterebbe chiamare ogni cosa col proprio nome e mettere i valori umani davanti ai valori sociali. Banale. Fin troppo per un'umanità satura di bisogni effimeri e di convenzioni di comodo. Io non ho bisogno di nulla di effimero. Voglio solo la luce di un'umanità diversa. Che esiste. Basta ascoltarla e guardarla negli occhi.




martedì 12 agosto 2014

L"Arte viva

Muovendo i primi passi sui sentieri dalla polvere chiara, circondato da aranci, ulivi ed oleandri, ho pensato immediatamente a come doveva essere il panorama un secolo fa, da quel giardino. 
Pierre Auguste Renoir acquistò le tenute attorno a La Collette, nei pressi di Hauts de Cagnes, dal 1907 al 1910 e dopo aver fatto realizzare una casa su misura per sé e per la sua famiglia, lì trascorse anni a dipingere, incontrare mercanti d'arte, osservare umanità e ricreare le sue percezioni, in una costa del sud della Francia non ancora Costa Azzurra. La chiave era la luce, l'opera conduceva all'umanità. Attraverso un dipinto si poteva cogliere la dolcezza della pelle, la profondità di uno sguardo così come la condizione umana fatta di stratificazioni sociali e culturali. Lo sguardo di Renoir spogliava tutti di queste stratificazioni restituendoci l'umanità delle persone nella loro essenza, pur rappresentandole perfettamente nel loro contesto sociale e culturale. La natura morta di Renoir in realtà era la rappresentazione della perfezione di un attimo: i frutti erano colti, la loro maturazione perfetta. Era un invito a nutrirsi di questa perfezione che anche solo un giorno dopo si sarebbe allontanata.
Le arti visive erano commissionate da persone benestanti, ma il loro linguaggio parlava a tutti, in quanto dotato di un alfabeto comprensibile a chiunque, ma leggibile in modo diverso dal bagaglio culturale di ciascuno.
L'Arte era viva, perché era espressione della vita ed era qualcosa a cui si rivolgeva chiunque intendesse far evolvere la propria esistenza, o come fruitore o come artista.
Oggi abbiamo abbandonato questi modelli e ci troviamo con una società intenta a non guardarsi mai allo specchio se non per cogliere le esteriorità più futili. L'arte (o ciò che si definisce tale) parla quasi solo a sé stessa e la grande maggioranza delle persone non cerca più il senso della vita, ma solo il modo per placare i propri bisogni primari, bisogni di cui non ha nemmeno una percezione diretta, ma che conseguono dalle influenze che i mezzi di comunicazione cercano di insinuare in ciascuno di noi. L'Arte oggi vive in pochissime espressioni umane e le anime più sensibili vanno a ricercarla prevalentemente nelle manifestazioni sorprendenti della natura. Le eccezioni sono rarissime. Torneremo a cercare il senso della vita?
O continueremo ad essere il selfie di un'umanità sprecata?









mercoledì 6 agosto 2014

La Lunga Estate Vuota


Questo vuoto nasce da una sensazione di eccessiva pienezza. L'umanità ha saturato il mio cuore. Sono saturo delle malinconie che questo carnevale perpetuo celebra ogni giorno. Ho bisogno di luce e silenzio.
Le strade affollate di questa Roma estiva regalano centinaia di sguardi persi tra l'incanto di una scoperta, la fatica della fine di un giorno di viaggio e la ricerca ossessiva di un altrove dove nascondersi per qualche giorno all'anno, lontano da tutto ciò che amiamo dire che amiamo.
L'amarezza di questi miei giorni viene da lontano, dalla mia giovinezza che, a dispetto del tempo che avrei dovuto dedicare alla spensieratezza, mi aveva condannato alla sensibilità di cogliere i limiti alla felicità umana. Ciò non significa che l'uomo non possa essere felice.
Io sono felice.
Io sono felice, perché ho tanto, molto di più di quanto avrei mai potuto anche solo sognare, ma sono una cattedrale che morirà comunque incompiuta e la consapevolezza di ciò, in certe serate, svuota le strade che cammino da tutto ciò che le abita. Debbo accendere ogni stella di questo cielo per vedere la mia luce interiore e tendere la mano alla parte di me che ora manca, che è di là del mare, del cielo, della lancetta dell'orologio che corre restando incredibilmente ferma.
Il calore di questa estate non sembra poter vincere il freddo che ho dentro. Un freddo che vivo col sorriso sulle labbra e l'anima persa altrove, sopra alle nuvole, sopra alle parole che mi scivolano addosso come le gocce di una pioggia senza riparo.
Goccia a goccia i miei pensieri cadono come le foglie di un autunno precoce. Un autunno in cui, sono certo, potranno germogliare i sorrisi e gli alberi scherzeranno con il freddo che non toccherà il mio cuore sino a quando sarà la luce del mio cielo a riscaldarlo.

 





 

lunedì 4 agosto 2014

La sostanza dei sogni

Poche cose ti lasciano tracce più profonde di un sogno. Nella mia vita ho molto sognato e vissuto giorni della stessa sostanza dei sogni. Questa notte, dopo mesi vissuti davvero in quella materia eterea, ho sognato. Al risveglio, però, non mi sono trovato spiazzato. Il mio mondo esiste e ciò che sogno non è sempre una proiezione ideale di ciò che potrei vivere. Vivo già cose bellissime. Vedo luci nel cielo accendere il mio sguardo. Vivo i miei sogni così come purtroppo anche i miei incubi, ma solo così posso percepire la piena sostanza della mia vita, fatta della stessa sostanza dei sogni.