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venerdì 2 agosto 2019

Mal d’Africa.

Non c’è filo sufficientemente lungo per legare insieme questi miei pensieri nomadi. E allora li lascio cadere liberi e disciolti, confusi e arruffati, come reduci da un brusco risveglio, su questo foglio di carta virtuale.
Un tempo ci siamo seduti affiancati ed abbiamo composto parole osservando schiudersi il fiore d'Ibisco. Abbiamo camminato insieme lungo i giardini dei nostri castelli e, per un tratto, abbiamo creduto di veder sorgere l’alba di una nuova cometa. Ma era notte, ancora, ed era buia e profonda ed infida in modo sottile. Così ci ha lasciati soli, sdraiati, affacciati sul labirinto celeste. Vivo ancora la stessa emozione per quel crepuscolo che, in un attimo, ha saputo contemplare ogni istante del giorno. Ma ora lo osservo al contrario, come il negativo di una fotografia indelebile che ho stampato nell'anima. Io sento ancora il silenzio, e quel vuoto martella il mio giorno con ogni parola non detta. Non è nostalgia. Lo chiamano Mal d'Africa. In altre parole, forse, è la necessità di ritorno a ciò che non posso essere, ma a cui inevitabilmente appartengo.


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