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mercoledì 26 ottobre 2016

Il salto

«Lo sai, mettersi ad amare qualcuno, è un'impresa. Bisogna avere un'energia, una generosità, un accecamento… C'è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio: se si riflette non lo si fa. Io so che non salterò mai più».
Jean Paul Sartre, “La nausea”

Rileggevo poco fa le parole di Sartre e riflettevo sulla loro stupenda aria tragica, mentre scrivevo qualche riga del mio libro che lentamente avanza. Sto scrivendo di un uomo che vuole rialzarsi ma che non sa come farlo. E non pensa di mettersi ad amare qualcuno. Mettersi ad amare qualcuno è un "qui e ora" supremo ed è quanto di più vitale appaia nel destino di un uomo. Eppure, in questo richiamo al presente, esiste una proiezione di sé in un futuro sognato difficile da vedere per chi è appena caduto. 
In fondo cosa desideriamo davvero quando amiamo qualcuno? Cosa ci spinge a saltare nel vuoto, a rischiare tutto ciò che abbiamo e che siamo? Forse solo la voglia di abbattere il silenzio in cui le nostre anime si agitano inquiete o la voglia di sancire una corrispondenza rara come i passaggi delle comete. E nel tragitto stellare che percorriamo compiendo quel salto, c'è tutto il senso e il valore del nostro viaggio, così votato all'irrazionalità da farci sentire in quegli attimi i soli esseri viventi in un universo che resta come sfondo, popolato da un'umanità distante, forse nemmeno vivente. Ma Icaro sempre si avvicina troppo al sole e le sue ali svaniscono, il salto si spezza e le cadute portano allo sconforto e alla nausea che ti fa dire "no, non salterò mai più". 
E allora sorrido, perché quella nausea, pur comprendendola, non appartiene né a me né all'uomo di cui scrivo -non ancora almeno- e mi affaccio sul precipizio quotidiano serenamente, lavorando, parola dopo parola, per costruire altre ali.




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