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lunedì 9 gennaio 2017

Maschere

Muovo piano il silenzio che ci circonda. Non vorrei creare onde troppo difficili da cavalcare. L'estate è lontana e non ho indumenti adeguati. 
Ascolto il respiro e penso. Leggo gli occhi e sento. Penso a quanto vissuto e non mi scopro troppo indulgente. Non ci sto. Non so far finta. La vita non è un disegno che svela, ma un solo tratto che lega tanti punti distanti. Debbo dunque prendere le distanze e osservare, per vedere veramente. E lì rivedo la luce, lo sguardo che esprime, in silenzio o parlando d'altro. E lì resta. Rimane in me. Osserva e mi osserva. Quindi si manifesta come una radio che improvvisamente trova la sua sintonia e mi parla. 
Non c'è bisogno di cattedrali per celebrare. Non serve la rondine per la primavera. Il bello dista dal giusto solamente lo spazio della convenienza.
Conosco tutte le sue canzoni, ma so cantarne pochissime.
Mentre scrivo continuo a leggere, perchè ciò che si può dare è tanto più grande quanto maggiore è quello che si è disposti a ricevere. 
Dunque osservo ad occhi chiusi e lentamente recito le parole che affiorano sulle mie labbra come fiori di aprile. Fiori di uno stesso sangue. Quello che ci fa guardare nella medesima direzione pur proveniendo da galassie non confinanti. 
Demolisco così una ad una le assi del palcoscenico che ha animato le nostre maschere. Ciò che siamo stati un giorno, resteremo per sempre. E ci riconosceremo ovunque, sebbene persi a ballare distanti, sul carro di un carnevale qualsiasi. 




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