Non ho smesso di pensarti,
vorrei tanto dirtelo.
Vorrei scriverti che mi piacerebbe tornare,
che mi manchi
e che ti penso.
Ma non ti cerco.
Non ti scrivo neppure ciao.
Non so come stai.
E mi manca saperlo.
Hai progetti?
Hai sorriso oggi?
Cos’hai sognato?
Esci?
Dove vai?
Hai dei sogni?
Hai mangiato?
Mi piacerebbe riuscire a cercarti.
Ma non ne ho la forza.
E neanche tu ne hai.
Ed allora restiamo ad aspettarci invano.
E pensiamoci.
E ricordami.
E ricordati che ti penso,
che non lo sai ma ti vivo ogni giorno,
che scrivo di te.
E ricordati che cercare e pensare son due cose diverse.
Ed io ti penso
ma non ti cerco.
Charles Bukowski
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giovedì 14 febbraio 2019
mercoledì 5 dicembre 2018
Un mare diverso
Dopo quasi due mesi ho ripreso un treno. Stessa direzione, altra destinazione. Ho respirato di nuovo l’aria fredda del mattino e ho gettato il mio sguardo su questa umanità al risveglio. Non mi mancavano le periferie desolate e l’odore ferroso dei binari. Non sentivo il bisogno di alzarmi prima dell’alba e riconoscermi la fatica addosso ancora prima del primo caffè. Non avevo bisogno di tutto questo, ma rieccoci in viaggio, in un tempo sospeso che traccia il suo percorso parallelo a fianco di quello reale che riconosco nel mio sguardo stanco, nei dolori che non si sopiscono col riposo di una notte, nella mia vita autentica che insegue altri bisogni, che rincorre desideri diversi e risponde a regole differenti.
Ma sono ugualmente qui, a spossessarmi di me, a riaffermare il senso di una vita che non può fare a meno di regalarsi, in fatti e parole, in gesti ed emozioni. Si dice che ciascuno abbia un proprio destino che spesso è il proprio calvario. La mia condanna è un dono dolce che porta a fondermi con l’umanità a cui appartengo, senza mai confondermi, né nascondermi. Troppo vistoso anche nell’anonimato, troppo particolare per assomigliare. Atomo di ossigeno nell’oceano in burrasca, avrei voluto essere una goccia d’acqua in un mare diverso.
venerdì 28 settembre 2018
R101
Muovo i miei passi con timore sacro in una stanza che sento parte di me prima ancora di aprire gli occhi e rivederla davvero. Un ottomano, il letto uguale a mille altri, i quadri alle pareti, le tende uguali ovunque. Un non luogo in cui la mia vita coglie il suo senso e si riconduce lentamente su un altro pianeta, quello abitato dalla luce lunare, quello del silenzio che racconta una vita intera e non si stanca di farlo, quello degli sguardi che confessano la bellezza di esistere e la follia di respirare insieme lo stesso profumo.
Sudditi di un regno senza monarchi, dove fiorisce l’ibisco di cui conserviamo il seme nascosto in noi, dove ciascuno è complemento dell’altro senza esserne funzione.
Cosà rimarrà di questa stanza? Parole, forse. Cicatrici invisibili che accarezzeremo e culleremo per la durata di un’altra notte stellata che crederemo infinita, nel cielo di quella stanza da cui non possiamo uscire.
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