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mercoledì 6 agosto 2014

La Lunga Estate Vuota


Questo vuoto nasce da una sensazione di eccessiva pienezza. L'umanità ha saturato il mio cuore. Sono saturo delle malinconie che questo carnevale perpetuo celebra ogni giorno. Ho bisogno di luce e silenzio.
Le strade affollate di questa Roma estiva regalano centinaia di sguardi persi tra l'incanto di una scoperta, la fatica della fine di un giorno di viaggio e la ricerca ossessiva di un altrove dove nascondersi per qualche giorno all'anno, lontano da tutto ciò che amiamo dire che amiamo.
L'amarezza di questi miei giorni viene da lontano, dalla mia giovinezza che, a dispetto del tempo che avrei dovuto dedicare alla spensieratezza, mi aveva condannato alla sensibilità di cogliere i limiti alla felicità umana. Ciò non significa che l'uomo non possa essere felice.
Io sono felice.
Io sono felice, perché ho tanto, molto di più di quanto avrei mai potuto anche solo sognare, ma sono una cattedrale che morirà comunque incompiuta e la consapevolezza di ciò, in certe serate, svuota le strade che cammino da tutto ciò che le abita. Debbo accendere ogni stella di questo cielo per vedere la mia luce interiore e tendere la mano alla parte di me che ora manca, che è di là del mare, del cielo, della lancetta dell'orologio che corre restando incredibilmente ferma.
Il calore di questa estate non sembra poter vincere il freddo che ho dentro. Un freddo che vivo col sorriso sulle labbra e l'anima persa altrove, sopra alle nuvole, sopra alle parole che mi scivolano addosso come le gocce di una pioggia senza riparo.
Goccia a goccia i miei pensieri cadono come le foglie di un autunno precoce. Un autunno in cui, sono certo, potranno germogliare i sorrisi e gli alberi scherzeranno con il freddo che non toccherà il mio cuore sino a quando sarà la luce del mio cielo a riscaldarlo.

 





 

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