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lunedì 22 giugno 2015

Giorno 8 - Musica provenzale

Lasciare la Catalogna non è stato facile. La cordialità della gente, la bellezza dei luoghi, la dolcezza del clima incredibilmente soleggiato e ventilato che ti cuoce e ti rinfresca continuamente, la bontà del cibo a prezzi inimmaginabili solo a 150km più in là, oltre il confine francese, ha impregnato davvero questa partenza di tanta nostalgia e voglia di ritornare.
Non so se riuscirò o quando potrò farlo, ma la voglia di ritornare è certamente tanta, magari conoscendo meglio la lingua, per sentirmi ulteriormente a mio agio.
Il ritorno in Francia dopo sei giorni avrebbe dovuto essere una sorta di ritorno a casa, per me, in un luogo dove la lingua mi è più familiare e dove so meglio come muovermi.
Invece l'impatto è stato diverso e mi sono apparsi subito evidenti i difetti francesi rapportati ai modi caldi spagnoli. La distanza con cui si rapporta il tuo interlocutore è enorme rispetto a quella spagnola e i luoghi peggiori, da questo punto di vista sono le località turistiche. Probabilmente meglio un alberghetto nella campagna della Vaucluse che il mega hotel griffato incastrato sotto al Palazzo dei Papi. Location stupenda: arrivo in auto al garage interrato sotto al Ponte d'Avignone con posto riservato e accesso diretto all'hotel, il quale ha una doppia uscita: la prima sulla porta del Rodano (il centro Avignone è ancora circondato da un cinta muraria) che dà accesso al ponte St Benezet, la seconda sulla scalinata che porta alla parte alta della Piazza del Palazzo dei Papi. Sono però bastate poche parole con la concierge per capire la distanza che separa due popoli. E la ragazza francese è stata gentile, professionale ed inappuntabile nel suo ruolo. Mancava solo quello che chiamiamo l'umanità, ovvero l'idea che avere a che fare con una persona fatta come te di sangue ed emozioni sia meglio che un pannello touch screen a cui chiedere risposte. 
Superato l'aspetto umano, ripetutosi anche al ristorante, Avignone resta una città stupenda popolata di gente stupenda che ama vivere e anche divertirsi. 
Anni fa ero capitato durante il festival del teatro, questa volta c'era la festa della musica. Qui le cose nascono spontanee. Ogni piazzetta, ogni angolo di strada che consentisse farlo ospitava gruppetti di musicisti di ogni genere, dalla piccola banda popolare al gruppo reggae, al rockettaro di turno, alle improbabili coppiette da Varietè Francaise. Non mancavano dj più o meno improvvisati, angoli di discoteca ricavati dai marciapiedi davanti ai negozi più improbabili in quanto a relazione con la musica.
C'era totale spontaneità e questo rendeva le strade e le piazzette alberate, stracolme di gente, dei luoghi bellissimi in cui perdersi, lasciarsi andare o anche solo passeggiare senza meta. Così ho fatto sino a non sapere più dove mi trovassi, ma questo smarrimento è stato assolutamente piacevole e quando mi è stato chiesto quale strada dovessimo fare per ritornare in albergo ho risposto che non lo sapevo, ma sarebbe stato sufficiente ripercorrere all'indietro lo stesso percorso, trovando riferimento nei gruppi di musicisti che avevamo incontrato. In questa atmosfera quasi fiabesca mi sono riconciliato con la Francia che conosco e che amo, lontana dal suo americanismo omologante patologico che la sta portando a mantenere il belletto senza avere più un volto.

Profumo del giorno: l'aroma di lavanda che si respira ovunque per le strade di Avignone
Colore del giorno: il giallo del sole al tramonto sui muri del Palazzo dei Papi 
Sapore del giorno: tutto in salsa bearnaise
Suono del giorno: tutti i suoni del mondo, ogni genere musicale accompagnato da un frinire assordante di cicale.
Tocco del giorno: le pareti porose dei muri avignonesi.








domenica 21 giugno 2015

Giorno 7 - Arte e (è) fatica.

L'ultimo giorno a Barcelona è stato dedicato all'arte e alla fatica.
L'arte attraverso la visita alla Fondazione Mirò, al Parc Guell e alla chiesa di Santa Maria del Mar. La fatica per aver scalato sotto un sole feroce il Montjuic, la collina del Parc Guell ed il caos del sabato ai magazzini del Corte Inglés.
Raggiungere la Fondazione Mirò a piedi dall'uscita della metro Paral-lel è stata un'impresa fisica. Ridotto come un essere umano normale non dovrebbe essere e pure infastidito da questo fatto, ho atteso di riassumere un aspetto dignitoso prima di armarmi di audioguida e di immergermi nei colori e nelle simbologie del grande artista catalano. Aria condizionata a livelli americani (molti frigoriferi sono tarati su temperature più elevate) e un bel cortometraggio sul percorso artistico di Mirò mi hanno rilassato e ricondotto su un piano di assoluto piacere mentale per ciò che stavo vedendo. La semplicità che non significa semplificazione, perchè la complessità che non c'è nel tratto è controbilanciata da un simbolismo che rende ricchissima di spunti ogni opera di Joan Mirò. Questo detto da uno come me che non ha studi di storia dell'arte alle spalle, nè una smodata passione per l'arte moderna. Ma Mirò mi ha sempre colpito. Non a caso, un particolare di un suo disegno della serie delle "Costellazioni" è stato il primo poster artistico che a quindici anni appesi nella mia camera da letto, nella mia stanza delle nuvole.
Risalito il Montjuic sino allo stadio olimpico (che ha una struttura di edificio neoclassico sorprendente ma tutt'altro che affascinante), ho scoperto che avremmo potuto raggiungere la cima del monte attraverso un sistema di scale mobili comodissimo che parte da Plaza de Espanya e raggiunge il Museo d'arte di Catalunya, un edificio a sua volta neoclassico in stile spagnolo, con un sistema di cascate d'acqua spettacolari che raggiungono Plaza de Espanya.
Il pomeriggio al Parc Guell è partito cercando di individuare la fermata della metro più comoda per raggiungere il parco con l'edificio disegnato da Gaudì. Fatica sprecata. Il parco è raggiungibile comodamente solo in taxi. Le uscite della metro sono entrambe comunque premonitrici di faticate assolute. Abbiamo dovuto affrontare uno strappo di salita del 25% prima di raggiungere un altro sistema di scale mobili che ci portava ad un ingresso del parco. Ovviamente sotto un sole sempre più feroce.
Deludente solo il fatto che sia stato messo a pagamento l'accesso all'edificio di Gaudì, considerando che la parte più interessante (la terrazza) è uno spazio completamente all'aperto ben visibile anche senza l'acquisto del biglietto.
Al di là delle opere di Gaudì, il parco presenta una vista su Barcelona davvero stupenda, che porta gli occhi dalla Sagrada Familia sino al mare.
Scesi a valle nuovamente abbiamo ripreso la metro verso Jaume I. Santa Maria del Mar non abbiamo potuta visitarla approfonditamente perchè in essa si stava celebrando un matrimonio, ma la bellezza delle navate mi è rimasta impressa.
Espletate le fatiche commerciali al Corte Inglés, tempio pagano di mia figlia che ha guardato ogni vestito esposto, l'ultima nota spagnola è sulla cucina.
Si paga pochissimo per mangiare, meno che in Italia, molto meno che in Francia. Il menu di tapas di questa sera prevedeva affettati e formaggi misti spagnoli, crocchette ai funghi, gazpacho, cozze marinate, gamberoni saltati e una tagliata di manzo piccante, pan y tomate, dolce, bevande e caffè a 19 euro effettivi, non solamente dichiarati sulla carta. E si parla di roba fresca e di buonissima qualità, non di pacchi per turisti. 

Salutiamo dunque la Spagna con la precisa sensazione di aver aperto una porta verso un mondo che merita altre visite, altri approfondimenti, altre emozioni.

Profumo del giorno: gli alberi e la polvere al Parc Guell
Colore del giorno: Il rosso del sole di Mirò.
Sapore del giorno: il gazpacho rinfrescante di fine giornata
Suono del giorno: i musicisti di strada. Hotel Calificornia del chitarrista slovacco e Take Five della sassofonista della metro.
Tocco del giorno: I capelli bollenti di mia figlia sotto il sole del Parc Guell


Le cascate sotto al Museo Nazionale d'arte Catalana


Le colonne che portano a Plaza d'Espanya.


Barcelona vista dal Parc Guell


Gamberi alla bilbaina


Ancora casa Batllò a fine serata



sabato 20 giugno 2015

Non sono due anni?

Viaggiare è aprire una fabbrica di ricordi che, quando la si condivide con altri, ci responsabilizza maggiormente, in quanto ogni nostro gesto, parola o cambio d'umore interagisce con quella altrui e ne cambia gli esiti. Per questo oggi ho cercato di tenermi dentro quello che avevo. Era sabato ed era un sabato che nella mia memoria corrispondeva al primo anno senza mia madre. La mancanza delle persone ti si manifesta sempre in maniera subdola mentre fai altro e teoricamente dovresti pensare ad altro. Ma io non posso dire che questo mi accada, perchè il pensiero di ciò che è stato non mi abbandona un attimo, così come l'ineludibile vuoto che resta. Un vuoto che ciascuno di noi cerca di riempire come può, con pensieri, gesti, parole, atti concreti quotidiani che perpetuano il modo di essere di chi non c'è più nella vita di chi rimane. Mi ha fatto sorridere mio figlio quando mi ha detto: "Ma non sono due anni?". No è solo un anno. Questo per dire quanto grande gli deve essere parso qusto periodo di tempo. A me sembra passata una vita intera.
Questo vuoto io l'ho riempito di cose, di parole e persone che mi fanno andare avanti nella vita con la felicità che mia madre manifestava attraverso le cose che faceva. Chi se ne va lasciando un'eredità fatta di emozioni prima che di cose materiali, credo che abbia raggiunto il massimo possibile tra gli obiettivi. E questo resta.