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martedì 15 settembre 2015

La stanza a righe e quadretti

Varcando la soglia di questa sala, si risulta attratti dal profumo dolce del legno temperato delle matite, della grafite, dalla polvere di gesso sulla lavagna e sulle dita. 
Ebbene si, si va a scuola! 
Dopo aver navigato nel limbo di una prima infanzia molto domestica (i nidi erano quelli dei canarini sui nostri balconi, gli asili erano quasi solo sagrestie molto spartane con suore da incubo) si mettono i piedi in acqua e si spinge il nostro guscio verso il largo.
Un bambino aspetta davanti al cancello, osservando con occhi sgranati l'edificio che lo ospiterà. Lo conosce da quando è nato ma non lo ha mai visto così. Questo è l'altrove che il suo mondo prospetta, anche se dalle finestre si vedrà il balcone di casa. Tutto sembra lontano, come l'estate che è finita da un pezzo. La scuola inizia ad ottobre e le foglie sono irrimediabilmente gialle, così come le prime ghiande che cadono dagli alberi del giardino che circonda l'edificio. Ai tempi non ci si curava di impattare l'emotività con attività di inserimento, colori studiati da scienziati per far sentire a proprio agio gli alunni nelle aule. Tutto però era bianco e pulito e non c'era scuola che non fosse circondata da un giardino. C'era bisogno di imparare le stagioni osservandole. 
Si entra in classe a fianco di un plotone di sconosciuti nei grembiuli neri con fiocco azzurro o bianchi con fiocco rosa. Quanta curiosità suscitano i grembiuli bianchi? La maestra scrive alcune parole alla lavagna e capisce chi sa leggere e scrivere. Si, lo so fare, anche se per scrivere "casa" arrivo a bucare la pagina a furia di cancellare e riscrivere. Non so disegnare. No. So scrivere e leggere ma non fatemi disegnare! Io ho un altro alfabeto. E invece no. Bisogna disegnare. Alla fine di ogni pagina scritta deve seguire un disegno che la rappresenti. Oggi tutto questo mi ricorda qualcosa. 
La maestra parla lentamente e sembra davvero felice. Ha una voce profonda e rassicurante, ma non è la mamma di nessuno. E senza alcuno scrupolo ci mette davanti agli occhi i nostri errori. Quanto è difficile accettarli? Quel microscopico buco sotto la parola "casa" ha le dimensioni di una voragine che vuole inghiottire tutta la mia già relativa buona volontà.
La carta bianca dei quaderni appena aperti possiede però un profumo stupendo, che prefigura un monte di cose che farò mie per sempre. Le pareti ancora spoglie, la cartina alla parete, tutto sa di nuovo ed è senza tempo. Ma ciò che più è nuovo sono io, che ho imparato qualcosa e che porterò a casa con me. Aprirò i miei quaderni e farò vedere dove sono stato capace di arrivare.
Suona la campanella. Secca e metallica, sembra quasi un allarme. La fine di un giorno. Il 1 ottobre 1972. Un inizio.





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