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mercoledì 30 novembre 2016

La sublime ossessione

«E comprendevo l’impossibilità contro la quale urta l’amore. Noi ci figuriamo che esso abbia per oggetto un essere che può star coricato davanti a noi, chiuso in un corpo. Ahimè! L’amore è estensione di tale essere a tutti i punti dello spazio e del tempo che ha occupato e che occuperà».

Marcel Proust, “La prigioniera”

L'amore, l'idea stessa di amore, è un atto involontario del nostro spirito. Passa attraverso il cervello ma non matura in un'idea razionale e finisce per occupare ogni spazio di cui l'anima dispone. Quando l'idea di amore diviene razionale in realtà è già altro. L'amore razionale, quello per così dire "consapevole" in realtà è una delega che assegnamo all'altro per compensare ciò che non troviamo in noi. "È bello sapere che ci sei" si dice.
Ma l'innamoramento e l'essere innamorati è un atto di assoluta irrazionalità, di puro istinto e di totale dedizione all'altro come fosse parte di sé, come elemento fondante dei propri giorni e dei propri pensieri. È un'ossessione sublime a cui non si può opporre resistenza ma dal cui ricordo è ancora più difficile staccarsi. Quindi non è sbagliato pensare che l'amore folle, quello degli innamorati che fissano il vuoto tutta la notte pensando all'altro, quello di tanti inizi, sia comunque un taglio che lacera l'anima e per il quale cerchiamo una cura, nel tempo, attraverso la ragione, attraverso l'abitudine ed il conforto sociale. Nel paradosso della meraviglia della vita che prevede ineluttabilmente la sua fine, si inquadra il paradosso dell'amore che brucia e ci lascia le cicatrici che tentiamo di curare con la nostra quotidiana commedia umana.







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