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sabato 20 giugno 2015

Giorno 6 - Mes que un club...

C'è tanto marketing dietro al successo planetario del Barcelona FC, ma è un marketing che non perde di vista i valori fondanti di un modello sociale. Un azionariato popolare vastissimo di circa 170 mila soci porta tanti a sentirsi parte attiva nelle cose societarie, a partire dall'elezione del presidente. Risulta dunque naturale spendere aggiuntivamente sempre qualcosa per quell'entità di cui sei parte e questo comportamento crea spirito di emulazione anche in chi entra in contatto con questo mondo. Non è secondario poi il fatto che il Barcelona sia una polisportiva che comprenda Hokey, Basket e Pallamano. Aggregazione. Influenzamento reciproco. Crescita.
Che dire, dopo la visita odierna al tempio laico del pallone, il Camp Nou, mitico per gli amanti del calcio in generale ed in particolare anche per gli italiani che qui vinsero nel 1982 una semifinale mondiale con la Polonia. Vedendo il manto erboso quotidianamente curato, più che a Messi e Neymar Jr la mia mente è andata a Bruno Conti che affonda sulla fascia sinistra, pennella il cross del 2-0 per Paolo Rossi (che qui in spagna divenne definitivamente Pablito) che si inchina davanti a tanta bellezza geometrica e di testa appoggia in porta. "Era un pallone che diceva 'basta spingere'" ricorda sempre Paolo Rossi. Era l'8 luglio 1982 e nella mente di un ragazzo di quasi 17 anni che allora seguiva molto il calcio, quella era l'apoteosi. Raggiungere la finale mondiale. E poi vincerla, quando si era partiti con la grande probabilità di fare una figuraccia e dovercene tornare a casa subito. Certe cose non si dimenticano. 
Io non sono e non sarò mai un tifoso, ma del calcio mi affascina la coralità del gioco, dove uno da solo non può (quasi mai) nulla e la capacità di azzeramento delle distanze sociali in nome di qualcosa che viene venduta per identità.  Risulta bello crederci, di tanto in tanto. Risulta bello pensare che, in nome di qualcosa, si possa fare, tutti insieme, il bene collettivo.
Su questo principio il Barcelona fonda il suo motto "Mes qui un club". E su questo basa il suo successo planetario a livello di immagine e di partecipazione.
Comunque la si veda e la si pensi sul calcio, venire a Barcelona e non passare al Camp Nou, visitarne il museo e respirarne l'aria, significa essersi persi un pezzo importante dell'identità di questa stupenda città.

Dopo questa overdose pallonara, il pomeriggio doveva essere di decompressione e così è stato con una lunga passeggiata di oltre tre ore dall'Eixample sino all'Arco di trionfo (sinceramente brutto), al Parc de la Ciutatela, al Passeig de Colom e dal monumento al navigatore nostrano su per la Rambla.
Io sono tra coloro che non amano più di tanto la Rambla. La trovo un posto caotico e troppo esclusivamente turistico. Si salva il mercato della Boqueria e la zona immediatamente circostante che rimane ancora impregnata di qualcosa di autentico. Basta fare pochi passi e si è però nella Ciutat Vella e nel Barrio Gotico. Lì puoi trovare ancora negozietti originali e piccoli angoli che restano autentici gioielli. 

Domani ultimo giorno a Barcelona, ma non del viaggio. Ancora Gaudì e... non so. Mi piace improvvisare.

Profumo del giorno: l'odore delle siepi al Parc del a Ciutatela
Colore del giorno: Blau-grana, ovviamente. Al camp Nou e sulla facciata notturna di Casa Batllò.
Sapore del giorno: La limonata fresca di Plaza del Palazzo Reale
Suono del giorno: un fiume di suoni, dalle note dell'inno del Barca al segnale della metro che ci riporta al Passeig de Gracia, dal fragore dell'acqua delle cascate al Parc de la Ciutatela allo slang misto di almeno 4 lingue che sento parlare continuamente. 
Tocco del giorno: l'erba del Camp Nou


L'ingresso 9 al Camp Nou.



Panoramica del Camp Nou


Più che un club...


L'ultimo acquisto in casa blau-grana...


La coppa vinta un paio di settimane fa contro gli amici juventini.


Il Parc della Ciutatela: le cascate


Facciata notturna di Casa Batllò











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