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martedì 20 maggio 2014

Buio in sala - Il piacere degli occhi.

La luce della sala scende sino a stemperarsi in un buio molto quieto, quasi silenzioso, attenuato solo dal fruscio del proiettore in cabina. Nelle sale d'Europa non si usava mangiare come animali all'ingrasso, si andava per assistere a uno spettacolo. Il cinema poteva essere tensione ed impegno, emozione e divertimento. Era rarissima la violenza e la banalità. Hitchcock faceva della tensione un esercizio di stile. Jean Cocteau asseriva che un film fosse un sogno collettivo. Ma Jean era un poeta, non un industriale della celluloide e giocava con la parola così come con l'immagine.
Lo stesso neorealismo italiano fotografava un paese semplice, povero di denaro ma affamatissimo di emancipazione. La fame di miglioramento non poteva che passare da una fame di sapere o saper fare qualcosa. La società era molto stratificata, ma non si suggerivano scorciatoie, se non tramite i sentimenti, che comunque non venivano dipinti come opportunisti. Solo più tardi, dagli anni 60, si incominciarono a proporre modelli più marcati di ascensori per la scalata sociale.
Quando abbiamo smesso di ricercare le emozioni in un film? Quando abbiamo iniziato ad aver bisogno di rappresentare un mondo peggiore di quello reale per convincerci che la vita (la nostra) non era poi così orribile? La pornografia della violenza gratuita e della superficialità sciatta ha finito per assuefare il gusto e le menti.
Nel 1990 in un cinema di Lione in cui andai a vedere il Racconto di Primavera di Rohmer, prima dell'inizio del film, lo schermo era nascosto dietro un sipario che, come a teatro, scorreva annunciando l'inizio dello spettacolo. Le persone seguivano in silenzio e, come detto, in sala non si ruminava popcorn. Alla fine dell'ultimo titolo di coda arrivò l'applauso... Sembra passato un secolo, mentre sono "solo" 24 anni.
Oggi prevale la tendenza a rifuggire la poesia delle cose, privilegiando solo gli aspetti più superficiali, per cui è normale che quando un barlume di intelligenza traspare si resti impressionati.
Salvo pochissimi e rarissimi casi, chi fa del cinema un'arte, oggi è a margine. L'industria oggi segue la società e in Italia la società ripudia l'arte in quanto non produce ricchezza speculativa diretta. Tutto ciò è figlio del ventennio di ricerca del bene superficiale e di scherno del senso profondo dell'esistere, che non può prescindere dal pensiero, dall'emozione, dall'intelligenza che ci emancipa dal nostro io animale.
La luce della sala cresce sino a restituirci i contorni delle cose circostanti. Qui è passata l'arte, l'intelligenza, la poesia e l'immagine. Qui è passato il sogno collettivo. Ora resta il piacere degli occhi che osservano, perché il nostro cervello capisca, rielabori e ci renda persone migliori, capaci di ricreare un nuovo sogno da vivere collettivamente nel buio di una sala popolata da persone culturalmente ed umanamente evolute.


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